Secondo me, Sounds Of The Forgotten dei Witherfall è una delle uscite più significative del 2024. Anzi, credo rappresenti il manuale di base su come si faccia dell’ottimo heavy metal in questo nuovo millennio. Di solito non mi allargo con certi proclami, però bisogna che mi lasci un po’ andare ed esprima l’entusiasmo che questo ascolto, dopo numerose patacche in uscita, mi ha suscitato.
Il quarto album di questa band, per la quale nutro rispetto ma su cui non avrei puntato nulla è la risposta a tutte le mie invettive, invocazioni, idiozie pubblicate su Sdangher da molti anni a questa parte. Dubito che Anthony Crawford, Joseph Michael o Jake Dreyer mi abbiano mai letto, ma sono arrivati alla mia stessa conclusione. Per scrivere del grande heavy metal c’era bisogno di fare così.
Il metal non andava reinventato, però bisognava recuperare una serie di requisiti che le ultime generazioni hanno tralasciato, producendo tonnellate di sterile revivalismo e contaminazioni, anche audaci, ma stagnanti e non volte alla realizzazione di grandi canzoni.
Ma cosa c’è di tanto straordinario in Sounds of the Forgotten?
L’equilibrio incredibile di tutti gli ingredienti, amalgamati sapientemente in un piatto dove il sapore che prevale non è la Paprika o la Cannella, ma qualcosa che vada oltre il singolo elemento. Capite?
Il brano, qualsiasi brano di Sounds of the Forgotten, che sia una ballad o una composizione progressiva di dieci minuti e rotti, non è il solito trenino a compartimenti stagni, dove si alternano in modo rigido e paludoso, una serie di caratteristiche stabilite a priori: un situazionismo brutale, il siparietto melodico, l’assolo iper-tecnico e la ruota che gira e rigira senza mai offrire un momento decisivo, orgasmico.
Nell’album dei Witherfall c’è di tutto ma non ce lo fanno pesare. A sentire canzoni come Ceremony Of Fire o Insidious, non potrete far altro che definirle heavy metal e di questi tempi, dove tutto è etichettato all’inverosimile fino a tradurlo in una serie di parole senza senso che vincolano la creatività, delimitano il pubblico e dividono, dividono e dividono, realizzare una sintesi così perfetta del metal è un’impresa da festeggiare lanciando il vitello grasso ancora vivo sulla brace.
Per dire, le melodie e gli assoli sono tradizionali ma il tiro che macina tutto quanto insieme è lo stesso delle band estreme. La capacità emotiva ha l’irruenza dei Nevermore ma le melodie riescono a raggiungere levità e riffianaggini degne dei vecchi Bon Jovi. Sentitevi When It All Falls Away e ditemi se non è un gigante rigurgito AOR che vi si infila sotto le unghie senza che nessuno vi dica: e ora eccovi la roba tipo AOR.
I Whiterfall vogliono solo realizzare un disco pieno di passione e di vitalità, senza spingere solo alcune caratteristiche al limite e farne una bandiera, come la maggior parte delle band celoduriste. Gli sarebbe bastato incidere dieci They Will Let You Down, che per me potrebbe rappresentare ciò che Painkiller è stato all’inizio degli anni 90. Non c’è un cazzo di cantante più bestiale di Joseph Michael. Punto e a capo. E non c’è un chitarrista capace di fondere insieme sboronamento idiota da cameretta coreana con le filosofie sanguinarie dell’anno Mille e non più mille.
Sounds of the Forgotten è un andirivieni di luce, buio, volontà di potenza, furia cieca, follia tragica, cadute misere, gloriosa morte e… no, niente sesso, siamo pur sempre heavy metal.