Coven Japan – Da grande voglio essere gli Airon Meiden

Giapponesi, con gli occhi puntati al 1981. Hanno ascoltato solo Iron Maiden e soprattutto Killers. Potrei fermarmi qui. Un clone molto molto ossequioso dei Maiden periodo Di’Anno, nota per nota, assolo per assolo, rullata per rullata. Eppure, al netto della clonazione totale, in questi Coven Japan c’è qualcosa di affascinante che mi evita di skippare come millemila scadenti revivalers della NWOTHM, che non hanno nulla da dire.

Intendiamoci, c’è una fetta di nuove leve davvero interessante, e ne riparleremo, poiché anche nel nuovo c’è qualità, ma è difficile da scremare in mezzo a troppo latte pastorizzato già scaduto prima di essere messo in vendita. I Jappaboys hanno un disco all’attivo, Earthlings, ed è inciso per la No Remorse Records. Già qui scatta l’attenzione, poiché è un’ etichetta di rilievo che fa della qualità e della selezione all’origine, non trattando robetta di terza scelta.

Si parla di gente che ha pubblicato Eternal Champion, Riot City, Heavy Load, Traveler, Heir Apparent, quindi prima di mettere una band sotto la sua ala ci pensa bene, per fortuna. Cloni, copycat, emuli? Certo, con tutte le scarpe, ma, al netto di questo, nei Coven Japan ho intravisto delle cose che per me li differenziano da molti altri. Prima di tutto le canzoni: sì, non originali, già sentite forse, ma fatte bene, piacevoli, trascinanti, ben costruite, e non è poco.

Velocità, melodia, potenza ci sono, suonano bene, la produzione è buona (Olof Wikstrand degli Enforcer dovrebbe già far sospettare che siamo a posto) e  questo è molto per me. Sono andato a sbirciare la bio, che è un po’ ridondante e pomposa, con qualche ingenuità ben visibile. Parlano di influenze quali Celtic Frost, hard rock anni 70 e punk hardcore anni 80, decisamente fuori luogo e buttate un po’ a casaccio. Poi citano Angel Witch, Mercyful Fate e Satan, e qui ci crediamo davvero.

Il convitato di pietra, l’aspettando Godot che aleggia e che non viene mai nominato però sono i primissimi Iron Maiden, di cui si sono imbevuti gli abiti fino al midollo. C’è molto di più in realtà, a parte Riot e Thin Lizzy, con la voce femminile di Taka, che surfando tra Di’Anno, Dickinson, Doro e Kate de Lombaert dei belgi Acid, ci mette la cazzimma e squarcia potentemente tutto, al contrario di certe sirene angeliche spompate del symphonic metal.

C’è il doppio cantato giapponese/inglese, che offre vivacità ai brani e c’è il sapere di mettere le melodie e le armonizzazioni giuste al posto giusto: non elaborate, ma dannatamente efficaci. Insomma, c’è la ciccia, e dopo che avrete ascoltato l’album vi verrà (almeno a me) voglia di riascoltarlo ancora.

Ha longevità, e non è poco in questi tempi di “skip and go” selvaggio.

Si può essere cloni con personalita? Paradosso, ma dico di sì. Il Giappone, non lo nascondo, ha sempre avuto la fama di replicare, ma certamente lo sa fare molto bene, perché la cultura nipponica sa anche metterci il cuore del samurai. Da attenzionare bei fanciullini.

(Marco Grosso)