Stillborn – Rinascere morti come i Malevolent Creation del 1993

Non sono mai stato un grande estimatore dei Malevolent Creation. Sì, mi fanno simpatia, così come gli Autopsy, i Grave e troppe altre band death metal della vecchia scuola che seguitano a incidere dischi, sebbene tutti sappiano che dopo le buone cose realizzate agli inizi, non siano mai stati in grado di aggiungere qualcosa di rilevante. The Ten Commandments e Retribution rappresentano generalmente il cosiddetto periodo aureo della band. Almeno uno di questi titoli lo troverete in una qualsiasi top cento dei migliori album death metal di tutti i tempi; specie il primo. Se però riducessimo a venti la classifica, non sarebbe scontato l’inserimento dei Malevolent Creation. Questo per dire che erano lì quando le cose accadevano e in un certo modo pure loro contribuirono a scrivere la storia che conta di per quel genere, ma non tanto per ragioni artistiche.

E Stillborn, lo dico sapendo di far incazzare qualche purista retro-maniaco, fu l’inizio della fine per i Malevolent Creation, la discesa nella routine purgatoriale in cui oggi, a dispetto dell’affetto, la nostalgia, il revisionismo, si trovano ancora. Perché ne scrivo? Trovo sia molto interessante, non musicalmente, ma per definire un preciso momento storico in cui il death metal viveva il suo momento migliore sia sul piano creativo che commerciale e nel mentre, senza sospettarlo, stava iniziando già a collassare su se stesso.

La Roadrunner, che grazie al death aveva guadagnato molti soldi, capì prima degli altri che tutto stava finendo e iniziò a mollare quelle band al più presto. Monte Conner si era pentito di aver gestito le cose con avidità ed eccessivo entusiasmo nel periodo buono. C’erano decine di gruppi death noiosi e destinati all’oblio che attendevano di uscire con la Roadrunner, avevano firmato e il disco era pronto. I Malevolent Creation erano nella lista degli oneri pesanti presi dall’etichetta, ed erano in procinto di registrare il loro terzo album. Fecero sapere di volerlo fare ancora una volta con Scott Burns.

Scott Burns è il produttore del death metal, tristemente noto, per dire il vero. Fece carriera a gran velocità grazie a esso e morirono assieme intorno al 1994, commercialmente parlando. Un anno prima però le cose sembravano ancora pistare alla grande. C’era un via vai incessante di gruppi negli studi Morrisound di Tampa, in Florida, e tutti avevano pochi soldi, molta fretta e ancor meno idee.

I Malevolent scalpitavano ma la Roadrunner gli aprì una doccia gelata sul cranio puzzolente di oppiacei e capelli sporchi. Non avrebbero  dato i soldi per l’ennesimo disco prodotto da Burns. Era diventato troppo costoso e poi ormai li faceva tutti con lo stampino. Si cercassero un’alternativa, con il poco che potevano investirci.

Così il gruppo scelse di affidare il tutto al proprio chitarrista, Phil Fasciana, alla prima esperienza come produttore. Dai crediti risulta che il produttore esecutivo, ingegnere del suono, alle registrazioni e il missaggio, sia stato Mark Pinske, noto per essere stato il fonico di Frank Zappa dall’80 all’87 e per aver prodotto, sempre nel 1993, Elements degli Atheist e poi nel 1994 il terribile disco funerale dei Fear Of God, Toxic Voodoo, di cui parlo qui.

Insomma, non un granché come squadra e infatti il problema di Stillborn, per chi oggi ha voglia di rivalutarlo e ne scrive sul web, non è la totale incapacità di aggiungere qualcosa di rilevante al cammino evolutivo del genere e picchiare duro e intenso per quaranta minuti in nome del death metal perchessì, ma la produzione scadente e prevedibile, fiacca e noiosa.

Le principali accuse sono ancora rivolte alla gestione della voce e quindi alla prestazione monotona di Brett Hoffmann, pace all’anima sua, che gesti il cantato con il consueto ruggito death, lasciandosi andare solo una volta a un urlo prolungato abbastanza impressionante, verso la seconda metà del brano Dominion of Terror.

Fasciana raccolse le critiche al suo lavoro di produttore e ne fece tesoro, evitando in futuro di riprovarci, almeno per diversi anni. E non sperimentò più le sue ambizioni sulla pelle della propria band, questo no. Ma allora, recensioni negative a parte, fu il pubblico a ignorare i Malevolent Creation. E se successe, il pubblico aveva ragioni sacrosante per non cagarseli troppo.

Intanto Retribution non aveva fatto sbrodolare il mondo, era solo stato una buona conferma dopo l’esordio The Ten Commandments. Stillborn però era sotto di parecchio e semplicemente non poteva competere con le esigenze di mercato e soprattutto con le uscite di quell’anno. Vi basti pensare che uscì il succitato degli Atheist, e poi Heartwork dei Carcass, Focus dei Cynic, i Death con Individual Thought Patterns, The Somberlain dei Dissection, Wolverine Blues degli Entombed, Covenant dei Morbid Angel… devo continuare? Che speranze aveva Stillborn di affiorare in un mercato così competitivo, in mezzo a band tanto ispirate e audaci, con un lavoro statico e prodotto a merda?

Nessuna.

La Roadrunner lo sapeva e con la scusa delle scarsissime vendite, scaricò il gruppo. Un altro di meno sulla lista dei depennabili.

Ma questa è Storia. Invece, oggi riascoltando Stillborn, cosa ne posso dire? Si tratta di un lavoro che avrebbe meritato di più?

No. Oggi può suscitare malinconia per un momento irripetibile che pure nei contesti meno riusciti sprigiona ancora una magia, ma non è certo “il treno merci che ci passa a un centimetro dal culo”, come lo descrissero su Metal Shock, che diede quattro pugnali al disco. Si tratta solo di un altro titolo death metal, realizzato da una tra le molte, buone band death metal storiche. Uscì nel momento migliore del death metal ma ebbe un’influenza sul genere e su quel mondo di metallari con i pentacoli e le viscere fuori dalla bocca, pari a una scorreggia di mio nonno sul letto di morte da Vetralla.

Oggi per tanti ragazzi, persino Stillborn è un traguardo estetico ambitissimo, ma questo non dice nulla sul valore acquisito dal disco nel corso degli anni, tra gli estimatori del genere, dice solo quanto sia sceso il livello di ambizione delle ultime generazioni votate all’estremo. Ci sono gruppi che realizzano ogni due anni uno Stillborn e ne vanno fieri.

Ah, curioso che il gruppo abbia scelto di intitolare un lavoro così “spacciato” con la parola Stillborn. Non c’è niente di meglio per definire il terzo album dei Malevolent Creation. Immagino l’ironia a palate negli uffici della Roadrunner e nelle redazioni delle riviste, al tempo. Se lo dissero da soli che quel disco era nato già morto.