Trenodia vuol dire canto funebre, vi risparmio la ricerca su wikipedia. Come nome non era male, in fondo, anche se noi italiani avremmo pensato a qualcosa di più prosaico che si sposta sui binari e che all’interno puzza di culo di somaro morto. Ho ascoltato As The Heavens Fall…, loro antico esordio per Massacre e devo dire che!
Per la verità non è facile capire davvero le qualità di un disco così. In fondo quando uscì non aveva scampo perché il mercato del death. Il 1993 era pieno di grandi lavori in uscita e affogato in altre centinaia di titoli mediocri e dimenticabili. Questo non è un capolavoro ma negli anni ha maturato delle ragioni di esistere che forse al principio non era facile riconoscergli.
La produzione oggi, a un orecchio avvezzo al genere da decenni, può sembrare persino interessante rispetto alle consuete combinazioni d’ingegneria sonora che dominavano la scena dalle origini e che ancora vengono ripetute senza speranza in un contesto digitalizzato ma fatto passare per old school.
In fondo so che è una specie di perversione la mia però amo i dischi death olandesi dei primi anni 90. C’era qualcosa di notevole proprio nella loro fragilità produttiva, nell’irresolutezza generale delle composizioni, nelle chitarre spente e il basso quasi nullo. Sicuramente i Threnody avrebbero voluto ottenere altro e dovettero accontentarsi di quello che uscì fuori dalle mani di un certo Menno van Oosten, il cui curriculum, almeno in ambito metal, si ferma a questa produzione qui.
Oggi, dopo tanti ascolti tutti uguali, un lavoro dal sound così sghembo suona interessante. Ma se non per la produzione, bisogna parlare dei pezzi che, partendo dal consueto approccio cavernoso e funereo del death più malinconico, quello dirottato al doom senza farlo notare troppo, non affossa l’ascoltatore in un carnevale ripetitivo di riffoni beceri e grida bestiali, anzi. Dopo un po’ la violenza si stempera, lasciando spazio a cose più acustiche, randagie e imprevedibili. Basti ascoltare Regrets o Cries, che partono brutali e poi si arenano in una rete di melodie dolci e davvero evocative.
As The Heavens Fall… mi fa pensare con rammarico a cosa fosse il death metal di quegli anni e a ciò che oggi non è più. Era una consapevole, se volete via via sempre più convenzionale, stereotipata, ma all’inizio sicuramente profonda e sentita, meditazione sulla morte da parte di chi meno ti aspetti che la faccia, vale a dire dei ragazzi dall’aria minacciosa e trasandata che preferivano vagare con le loro birre tra le tombe del cimitero comunale invece di starsene a dire cazzate fuori dal bar. La morte nel death metal delle origini non era tanto descritta come deterioramento delle carni e caducità (c’era anche quello, ok) ma pure in modo più concettuale e profondo. La fine era dolore e liberazione, spavento e nulla, l’ultimo respiro rubato alla vita prima di essere accolti dalla corrente che conduce all’unico destino possibile. Scomparsa, disfacimento, puzza e vermi, lacrime e non senso in un’accezione poetica e sognante. Nei Threnody, così come nei primissimi Cathedral, quelli più estremi e intriganti di Forest Of Equilibrium e del demo In Memoriam, la morte era anche il ricongiungersi con la persona amata.
La tomba,
luogo di riposo per l’amore
ascolta il suono delle trenodie,
per colui che è andato per sempre
Buco nero rettangolare,
come le fauci della morte stessa
Presto saranno chiuse
Con solo i ricordi rimasti
Era fico tutto ciò e creava sgomento negli psicologi da rivista. Erano ragazzi, erano nel fiore degli anni e pensavano voluttuosamente alla morte, al suicidio, alle tombe, al punto di svilupparci su una specie di universo mefitico dalle sfaccettature terrigne e cosmiche assieme da rendere con l’abuso di suoni saturi e selvaggiamente e furiosamente tribalistici.
C’era filosofia, letteratura e soprattutto paura verso la fine di tutto, che era così lontana per un pischello dal carattere pepato e dalla vitalità irrefrenabile come Chuck Schuldiner, ma non così lontana. E come per lui la cosa vale per chiunque, anche dei ragazzini in un capanno nel bosco, osservano la vita davanti e la piangono, maltrattando i propri strumenti e vomitando elegie cimiteriali con una rabbia e una disperazione da dover appendere le corde vocali sui vecchi rami pazienti del sentiero a sinistra. Quel sentiero interpretato erroneamente in modo minaccioso dai vecchi deathsters ma che sia gli Entombed negli anni 90 che i Malevolent Creation dieci anni fa, hanno sempre offerto al pubblico con intenti romantici e preziosi.
Tornando ai Threnody, io penso che il loro primo album sia stato notevole ma penalizzato da un mercato sul punto di schiantarsi e dalla poca voglia già allora dei nostri recensori, di esaltare e valorizzare chi tentava strade un po’ meno scontate dalla solita sbobba estrema. As The Heavens Fall non è neanche così death e oggi possiamo godercelo senza questi dilemmi superflui. Se non ci fossilizziamo sulle caratteristiche più vistose (la voce growl) si rivela un lavoro itinerante, inquieto, perso nei corridoi di un vecchio castello diroccato o nei paesaggi campestri dove, a una certa ora di notte qualche prefica ritardataria vaga e piange direttamente da secoli lontani. As The Heavens Fall… è una genuina ode a ciò che dobbiamo restituire affinché il ciclo prosegua.