La verità ci fa male, lo so!

Salve Sdanghers, come state? Io bene, il blog pure. Abbiamo una buona media visite che nel 2011, quando cominciammo a tartassarvi di articoli, provocazioni e sconcezze varie, neanche ci sognavamo. La cosa non ci porta soldi, gloria e neanche sponsor, ma se l’avessimo fatto per queste belle robette, avremmo fatto come molte webzines metal, ottenendo comunque niente. Il resto è ok. Stiamo preparando il nuovo numero del magazine cartaceo che uscirà tra settembre e ottobre, intanto ci diamo dentro con un sacco di pezzi. Vi sarete accorti che la media delle pubblicazioni è aumentata parecchio negli ultimi due mesi. E allo stesso tempo sono convinto che abbiate notato la penuria di articoli all’inizio dell’anno. Se non si è trattato di una crisi, poco ci è mancato. Per fortuna, ai momenti in cui tutto sembra perduto, andato, morto, poi segue una rinascita, almeno per m,e. Se prendessi le mie pause fisiologiche in modo positivo, senza trasformarle in una trenodia (adoro questa parola) vivrei molto meglio.

L’esperienza mi ha insegnato che è proprio così, ma non è di questo che voglio scrivere oggi. Per la verità non so ancora dove stia andando a parare, come quasi sempre, ma di sicuro non imbocco la strada delle pause tragiche e le ripartenze miracolose. Mi va di dirvi che le cose vanno avanti, non tutto è a posto, ho qualche problema con una delle mie figlie, ma spero che prima o poi ogni cosa riprenda a viaggiare nella giusta direzione.

I collaboratori di Sdangher continuano a orbitare intorno a me. L’unico di cui non so praticamente più nulla è Ruggiero Cavallo Goloso, ormai disertore disarcionato di questo letamaio felice o pagliericcio puzzolente, che dir si voglia. Mi manca, ma noi cavalli abbiamo un tacito accordo. Quando uno lascia la stalla, non gli si domanda nulla su dove vada e tantomeno quando tornerà. Si sa che tornerà, prima o poi. Sarà lui a decidere. Qui nessuno è obbligato a rimanere. Nemmeno io, Padrecavallo. Se ci sono ancora è perché amo troppo questo posto e non posso fare a meno di portarlo avanti.

Sdangher è un luogo dove chiunque ha voce, anche chi non la pensa come me. Il risultato è che talvolta c’è chi ci prende per schizofrenici. Ma come, ieri scrivevate che il death moderno era una schifezza e ora invece dite che ci sono almeno dieci gruppi validi in giro? Sì, ma sono due articoli diversi di due menti diverse. Ho sempre detestato le redazioni con una sola idea, un solo pensiero, un solo ideale. Dentro c’è chi crede davvero in ciò che scrive e c’è chi per rimanervi o farvisi strada, scrive ciò che non pensa. Sui grandi quotidiani politici è sicuramente così.

Ma che lo scrivi a fare se non è vero? Se non lo pensi davvero?

La scrittura è confessione, sempre. Fin da piccolo la usai per dire a mia madre ciò che non avevo il coraggio di dirle a voce. L’ho usata per dichiarare il mio amore a diverse ragazze, per dire addio a qualche amico, per ammettere le mie colpe e per farmi un sacco di nemici. Cosa mi ha dato in cambio? Un gran senso di libertà e di integrità e un mare di problemi, dolore e pentimenti. Trovo esaltante mettere il punto, spingere “pubblica” o “send” e attendere che la mia vita cambi inevitabilmente. Dopo sono dolori e un sacco di fave andate a male, ma non importa. Pago lo scotto e me ne fotto. Del resto Sdangher poggia la sua architettura su una massima: se pensi di non doverlo dire, allora scrivilo! E così si è sempre fatto, qui dentro.

Perché lo facciamo? Sapete, c’è un sacco di gente che trova irritante, se non completamente sbagliata questa attitudine per la verità fuori dai denti. Che bisogno avevi di dirlo? Non potevi tenerlo per te? No. Mi spiace, ma è necessario dire le cose, specie quelle che premono per uscire. Con questo non voglio fare la parte dei virtuoso. Sono consapevole per primo, data anche l’esperienza, che dire la verità produce più danni che altro. Le bugie sono la salvezza di questo pianeta. Senza di esse ci distruggeremmo in una settimana. Eppure c’è bisogno di un luogo dove l’apocalisse sia libera di avvenire, permettendo a voi, dallo spioncino, specie quelli che “ehi, non sta bene” di leggere e godersi con i pop-corn, rabbrividendo fino al perineo, le conseguenze di una simile condotta scellerata del dire a tutti i costi.

C’è anche chi pensa che sia bello dire la verità e che uno dovrebbe esprimere ciò che pensa davvero, tranne dare la voce a determinate categorie di pensatori, di filosofi, di sostenitori di idee politiche antiche e nonostante questo, ancora considerate molto pericolose. Come si può sostenere la censura pur odiando i totalitarismi passati è un mistero che non riesco a svelare. Intanto mi preme di dire che non ho paura del vecchio nazi-fascismo. Non tornerà mai Hitler, né il Duce o chi per loro. E per un motivo semplicissimo. Hitler, Goebbles e gli altri, oltre ad approfittare di un periodo storico preciso e irripetibile, ingannarono il proprio popolo. Se i tedeschi avessero visto i documentari sui campi di concentramento prima di incontrare Hitler in una birreria, avrebbero chiesto il suo arresto immediato. Quindi se oggi uno si professa nazi-fascista e si riempie la giubba di croci uncinate, secondo voi quanti voti prende, a parte quelli di qualche folle dissociato dal mondo? Oggi, uno che bercia di ebrei, di bombe atomiche e di quanto era bello il Terzo Reich, fa paura solo a sentirlo. Chi mai lo voterebbe?

Il vero nazismo può rinascere in altre forme e se le cose si ripetono, come sostiene chi teme qualsiasi avvisaglia nostalgica di vecchie autarchie, allora dobbiamo tener conto che il nuovo nazismo, se già è in boccio, lo stiamo vedendo senza vederlo, lo stiamo sottovalutando, sbeffeggiando, minimizzando e ignorando nella speranza che si estingua da solo. Fu così con l’altro nazismo, quando si guardava a quei tizi con la divisa paramilitare che andavano in giro per Berlino impettiti e con l’aria un po’ brilla, con sufficienza, li si considerava villici, bestie incapaci di elevarsi a serio partito con qualche possibilità politica vera. Un po’ la stessa attitudine di chi sorride e scrolla le spalle davanti alla sempre maggiore contraffazione storica delle serie e dei film hollywoodiani e a chi sbeffeggia i sostenitori del revisionismo letterario, contenti di vedere in giro una nuova edizione di Tom Sawyer senza la parola negro dentro e, magari una versione di The Return Of The Living Dead 2 edulcorandolo della scena dell’assalto degli zombie al pet-shop.

Il nuovo totalitarismo sta attecchendo, o almeno ci prova, come sempre nella cultura, nelle idee, nella visione globale delle cose. Provate a fare un film con un cast completamente bianco a Hollywood. Anche fosse una storia su Burzum che diventa Bat-man delle nevi, ci vuole il nero, il coreano e l’hymalaiano in ruoli primari, così come ci vuole la storia d’amore, l’assenza di sigarette e una retorica delle pari opportunità. Oppure non te lo producono e tu non lavori.

E se le cose che vi dico vi inorridiscono, allora sappiate che il problema è proprio questo. Bastano un po’ di parole e il vostro sistema di percezione inizia già a sbandare. Ma come, ha scritto “negro”, presto, devo avvertire il signor Zuckerberg!

La parola con la N. La parola con la T. La parola con la F. Parole, parole, parole. Il problema nasce da esse, ma proibirle non è mai una soluzione. Ci sarà sempre gente vogliosa di urlarle proprio perché gli si impone di non dirle più. Se nel mondo c’è ancora un linguaggio simile, io non lo vedo come il veleno ma lo spioncino di una situazione che è ancora ben al di là dall’ideale purificazione.

E poi vi dirò, a me il mondo piace già così. Come ci è stato donato. Amen.

Vi auguro una buona domenica e vi benedico tutti.

Vostro Padrecavallo.