Certo, questo non è un blog dedicato al cinema. Si scrive anche di film, ma succede ogni tanto. I motivi che spingono, solitamente me a farlo, sono due. O si tratta di lungometraggi che per estetica, contenuti o sotto-letture assimilo alla cultura, la filosofia e l’estetica metallara e allora mi serve parlarvene per analizzarli e contestualizzare epoche, società e consumi, oppure ve ne parlo perché sono dei film grandiosi e li ho apprezzati così tanti che, oltre a parlarne a chiunque, dalla cassiera del supermercato di cui non so neanche il nome, al collega di lavoro che adora solo Pierino e la fase tarda della filmografia di Jessica Rizzo, io ne parlo anche a voi. O meglio ne scrivo. La mesita del comedor.
Quando scrivo di film sul web, rispetto a quando mi occupo di musica, il problema è sempre uno solo: fare spoiler. I colpi di scena non possono essere rivelati, nemmeno a chi ha già visto il film. Non scherzo. Pure quello che già sa tutto, si incazza per chi non sa ancora e se ne lagna per primo.
Per un po’, mi sono dedicato a cose molto vecchie e note nel circuito dei satanisti, i nostalgici del terzo reich e i pornofili, le tre categorie definite che seguono Sdangher con continuità e una specie di affezione, perché almeno pensavo di non aver problemi di spoiler. Se scrivo di Ghostbusters del 1985 o di Morte a 33 giri, chi cazzo è che ancora non sa il finale? Eppure… Pensate che v’è chi non ha visto Dracula del 1958 e non vuole gli si dica come finisce. E c’è chi non vuole assolutamente sapere come si conclude Gesù di Nazareth di Zeffirelli.
Insomma, a queste condizioni, scrivere di cinema e fare critica è impossibile. Non mi piace parlare semplicemente di un film come si farebbe con un amico, assicurandogli che non perderà il suo tempo a vederlo e bla bla bla, e che se gli piace questo e gli piace quello, allora impazzirà e bla bla bla. Questi toni si possono sfogare davanti a una pizza o durante una chattata a colpi di vocali. Che senso ha scrivere un articolo di approfondimento, di analisi e di riflessione con il tenore imbonitorio di chi vuole convincerti a fare qualcosa?
Qui si dovrebbe ragionare su cosa si è visto e chi non l’ha visto, vada a vederlo e poi torni, no?
Eppure io sto cercando di dirvi che non potete proprio perdervi La mesita del comedor. Si pronuncia La Mesìta del Comedòr. Film spagnolo, opera seconda di un certo Caye Casas. Caye potrebbe essere l’abbreviazione di Cayetano, so che qesta informazione per voi ora non ha alcuna importanza, ma se vedete il film capite che ne ha eccome.
Caye Casas e Crys Borobia hanno scritto questa sceneggiatura incredibile. C’è chi subito ha assicurato che gli spagnoli sanno maneggiare spunti così truci e allo stesso tempo satirici e fantasiosi, ma io non generalizzerei. Sembra che si voglia sminuire il risultato ottenuto da Casas e il suo compare di penna. Eh, ma voi lo sapete fare per forza un film così, siete spagnoli!
Certo, c’è una influenza di Almodovàr e sicuramente anche di De La Iglesia, ma queste sono tutte stronzate che si scrivono quando uno non sa bene che cazzo dire di un film e inizia a tracciarne l’identikit tecnico (“fotografia la stupenda”) e biologico (“ricorda tizio, omaggia caio”).
La cosa curiosa per me è che qui, come mai, ho bisogno di non fare spoiler. Mi rendo conto che la forza di questo film non vi arriverebbe in piena faccia, se vi dicessi cosa succede e che non ne sappiate nulla è fondamentale. Non stiamo parlando di uno di quei cacchio di film dove alla fine loro si innamorano e vanno a vivere su un’isola o dove l’assassino poi si scopre essere il prete o il maggiordomo. Questi spoiler sono così telefonati che non salvano e non condannano un’opera mediocre. I grandi film non sono delle fottute barzellette, come diceva il mio caro amico Elvezio Sciallis, pace all’anima sua. Solo uno spettatore mediocre può lagnarsi di certe rivelazioni.
Ci sono alcuni rari esempi in cui il colpo di scena è talmente importante che bisogna davvero tacere, nei limiti del possibile, parlando di tutto il resto.
Ciò che voglio dirvi io è più o meno quello che è successo a me, e che molto probabilmente succederà a voi, al di fuori dello schermo, se vi fiderete del mio consiglio e lo vedrete. L’inizio sarà divertente, caustico e vi metterà in buona disposizione d’animo. La scena in cui questa coppia con figlio appena nato battibecca davanti a un irresistibile venditore di tavolini, controfigura di Ron Jeremy, vi prenderà subito.
In quei dialoghi c’è la rabbia profonda e diretta di lei e la passiva aggressività, sorniona e non meno assassina di lui. Si odiano? Si amano odiandosi? Non si sa, ma quel che conta è il tavolino da caffè ai loro piedi: brutto, volgare e costosissimo. La donna non lo vuole. L’uomo lo adora. Il venditore, impassibile davanti a tutta quell’aggressività, assicura entrambi che un buon tavolo da caffè, con vetro infrangibile, (ricordate bene questo particolare, infrangibile), può rendere la vita di chi lo acquista, decisamente migliore.
Lei non lo crede possibile, né che il vetro sia infrangibile e né che un tavolo del cazzo migliori la vita. Anzi, la cosa dimostra solo quanto il venditore non sappia fare il suo lavoro, se dice simili scemenze spropositate. Lui tace e incassa. Il compagno di lei annuisce e dichiara imperterrito che lei ha scelto tutto, i mobili della casa, il colore delle pareti, di avere un figlio, persino il nome del figlio. Ciò che lui desidera, per rifarsi di tanto stra-dominio casalingo, è solo quel tavolo. Lo vuole e basta. Solo quello. Del resto erano d’accordo. Lui avrebbe scelto una cosa, solo una, senza discussioni.
Lei è costretta a cedere ma non la finisce di lamentarsi con lui.
I due continuano a battibeccare anche quando stanno in casa, con il compagno che monta il tavolo e risponde a mezza bocca, mentre lei, ancora furiosa per quell’acquisto orribile, vuol sapere cosa intenda con il discorso che il figlio è una decisione di lei.
Ma è vero, dice lui con candore. Certo, ama il bambino, ci mancherebbe. Solo non era pronto ad averlo e lei lo ha sempre saputo. Se il bimbo c’è è per via della volontà esasperante della donna, abituata a ottenere ciò che vuole, sempre. Nonostante questo lui sarà un bravo padre, lo amera, lo accudirà, lo proteggerà e lo aiuterà a crescere con tutto l’amore possibile. Ma non l’ha voluto lui, quel bambino.
Sapete cosa dice Marshall Rosenberg, l’ideatore della comunicazione non violenta, riguardo le cose che vogliamo a tutti i costi, anche se chi ci sta vicino dice apertamente di no? Che sarebbe molto meglio convincere la persona che dice di no a desiderare quelle cose con lo stesso trasporto e godimento che abbiamo noi, altrimenti, in un modo o nell’altro, prima o poi, la pagheremo cara.
Cosa intende con “la pagheremo cara”?
Beh, diciamo che gli altri possono anche accettare i nostri desideri, pur non comprendendoli e magari opponendosi a essi in un primo momento, perché collimanti con i loro di desideri, ma nonostante alla fine, per amore, per quieto vivere, siano pronti a dire “sì, va bene, compra quella cazzo di moto, anche se la cosa mi costringerà a rinunciare al mio corso di acquagym e anche se starò in pena per te ogni volta che andrai in giro con quella cosa, assieme ai tuoi amici e anche se odio le moto, la velocità e questo tuo aspetto che mi separa da te”, prima o poi succederà qualcosa di molto sgradevole che vendicherà questo loro sì estorto per sfinimento.
E magari avverrà in maniera inconscia, come una casualità.
Per quelli più svegli di voi, sono costretto a fermarmi qui. Sto pensando che potrebbe essere sufficiente a farvi capire cosa avviene dopo questi primi frizzanti, tesi e molto divertenti quindici minuti di botta e risposta intorno a un tavolo da caffè e un imperdibile venditore di tavoli da caffè.
Succederà una cosa davvero difficile da prevedere. E a quel punto vi sentirete male. Proverete un grande disagio e dovrete decidere se smetterla lì, rinunciare al film o se continuare, nonostante il dolore, il terrore, l’incredulità e il grande sconforto che proverete.
Se deciderete di andare avanti, il film vi ripagherà perché sarà all’altezza dello spunto clamoroso e onorerà la vostra intelligenza, la vostra sempre più affaticata sospensione dell’incredulità e il vostro gusto narrativo frollato da anni di hamburger sinottico-sintetici di mamma Netflix.
La mesita del comedor, uscito anche con il titolo internazionale The Coffee Table, è un film per me indimenticabile, mi dimostra che ci sono ancora grandi film che mordono, come scriveva il compianto critico delle schifezze Chas.Balun. E il morso è doloroso e lascia un segno. A un certo punto, dopo la mezzora, sarete in trappola. Una parte di voi, come all’inizio, vorrebbe fuggire, ma l’altra è incatenata al plot e ha troppo bisogno di capire come andrà a finire una storia tanto orribile. Una commedia degli equivoci in un campo di sterminio della speranza. Non so come altro definirlo, gente. Guardatevi La mesita del comedor.