Celestial Season – Prendiamoci cura del loro dolore

Ho letto un po’ di interviste recenti ai Celestial Season e tutte hanno lo stesso tenore ossequioso per i loro primi due album. Il secondo, Solar Lovers non l’ho ancora sentito e so che è considerato il capolavoro assoluto del gruppo. Da una settimana mi faccio però compagnia con l’esordio Forever Scarlet Passion. In rete sono ormai considerati come dei precursori insieme ai Paradise Lost e quegli altri due gruppi inglesi che non mi va di nominare, ma tanto Gianni, noi ci capiamo. Mi affascina questo fenomeno. Dopo molti anni che sei in giro, l’asticella della sacralità si alza e siccome tu eri presente al tempo in cui le cose accadevano, qualcuno ti apostroferà come un mostro sacro, pure a te che sostanzialmente eri solo un accodato.

I Celestial Season, come dice anche Sasà Fallucca, erano in una cantina a cercarsi il buco del culo con un lanternino mentre usciva Gothic dei Paradise Lost e quando uscirono con lo sborronesco, per non dire “seminale”, Forever Scarlet Passion, i fiori per la sposa morente erano già appassiti da un po’ e qualcuno aveva usato l’ossimoro “dolce sofferenza”, precedendo la variante seasoniana di “dolce amarezza”.

Con questo non voglio dire che il primo album della band olandese non fosse bellissimo, solo non vorrei che ve lo lasciaste  vendere come un caposaldo del genere, perché non lo è. Il goth doom sarebbe stato lo stesso se non fosse uscito questo album dei Celestial Season. Il gruppo si è nutrito prima di tanti altri alla fonte prodotta dal picchio e la pala dei Paradise Lost e co. Era tra i primi del corteo a protendere la scodella  verso lo spruzzo “seminale” di quella sorgente innovativa, ok?

Quando Forever… uscì sulle riviste italiane nessuno si esaltò, non ci furono grida “al precursore, al precursore. Scrissero che era un bel lavoro, uno dei tanti di quella messe ricchissima che fu il metal tra il 1992 e il 1993. Tutti presentarono l’album con un certo rispetto e ammirazione, persino Metal Shock, nonostante le immancabili riserve per ogni cosa provenisse dall’Olanda, a parte il porno.

Oggi Forever Scarlet Passion mostra gli anni ma non perde di fascino, anzi, ne guadagna. L’uso del violino e certi riff da spararsi a una mano per liberare il dolore, conducono a una mistura ideale tra Lost e Dying, come loro non si sarebbero mai concessi per tante ragioni.

Cheris My Pain, The Mercyful hanno qualcosa che nel tempo si è perduto in seno al genere, la capacità di imbroccare combinazioni melodiche in grado di schiudere le casseforti del cuore, al posto di chi le aveva dimenticate. Spingono ancora quelle combinazioni felici di note depressissime, il fiotto della sofferenza e dell’autocommiserazione giù sul freddo pavimento pieno di chiazze secche di disperazione biologica.

Per esempio, sentite cosa dice il violino nel punto di svolta tra Sweet Bitterness e Ophelia. A me quella nenia apre un sentiero nella foresta dei ricordi. Vedo foglie gialle e croccanti che piovono sul corpo di un cane putrefatto, venuto a morire in solitudine, un sabato del villaggio particolarmente autunnale. E sento nel mio torace il rimbrotto lamentoso di qualche poeta decadente e un vago senso di vertigine, forse è vomito in arrivo oppure sto solo crescendo un altro po’ prima di iniziare ufficialmente a invecchiare.

Lo spirito olezzava che era una bellezza al tempo di gruppi come questo. Probabilmente se avessi comprato Forever Scarlet Passion nel 1993-94 , l’avrei adorato. Adesso a risentirlo, riconoscerei brani dei miei vecchi abiti, nel percorso di rovi e rami secchi di certe canzoni come Afterglow, che pare aggiungere una postilla a Shades Of God.

Ecco lo sfregolare della mia carne rinsecchita su un vecchio muro pieno di scritte sataniche e puerili, fotografie bruciacchiate di ricordi sgradevoli e sacrificati a qualche dea pagana a cui non credo più abbastanza. Volti di amate defunte da un pezzo, che tendono la mano e lo sguardo disperato dal lago cimiteriale del mio stomaco evacuatore. Quando penso al mio stomaco mi sento minacciato da genetiche iatture, sapete? Ho bisogno di una musica come questa per vivere, morire e rinascere insieme. Abauba!