Metal Musorgskij – L’anima heavy di Madre Russia

Una gloriosa disperazione nella musica classica russa. Ho sempre trovato grande ispirazione, conforto, esaltazione e grandi emozioni, che affiorano perpsicacemente dall’anima alla pelle, nella musica classica russa del diciannovesimo secolo. Nessuna espressione sonora, per me, riesce a condensare con enorme forza espressiva il senso di epica tristezza, gloriosa malinconia e senso di disperazione con il sorriso sulle labbra, la consapevolezza della vacua vita umana, vissuta in attesa dell’ultima ora, ballando un valzer alle soglie del buio eterno. Un viaggio sonoro nei meandri dell’anima collettiva di quel popolo, che ha vissuto secoli di conflitti, conquiste e trasformazioni culturali. L’anima russa, con la sua propensione per il tragico e il sublime, trova nella musica classica un mezzo privilegiato per esprimere le passioni più profonde e le visioni più elevate. Questa musica, forgiata nel crogiolo di un’epoca di travolgente cambiamento, si presenta non solo come espressione artistica, ma come un simbolo della lotta e della resilienza di un’intera nazione. Il XIX secolo in Russia fu un periodo di enormi cambiamenti sociali e politici.

L’emancipazione dei servi della gleba nel 1861, l’ascesa di nuove idee nazionalistiche e l’espansione dell’industria e delle città crearono un contesto in cui la cultura poté svilupparsi e trovare nuove modalità espressive. La musica classica divenne allora un potente mezzo attraverso il quale il popolo russo riusciva a esplorare la propria identità, spirito e storia.

Questo movimento fu guidato da compositori che non erano solo musicisti, ma anche cronisti della trasformazione sociale e culturale della loro terra. Vi fu Pëtr Il’ič Čajkovskij, che incarnò una dualità comune a molti russi dell’epoca: l’amore per le tradizioni nazionali e l’ammirazione per l’Occidente. Nei suoi lavori, egli seppe fondere queste due anime in modo magistrale.

Nel Concerto per pianoforte n. 1, la struttura e il virtuosismo dello strumento solista abbracciano una narrazione profondamente personale e al contempo universale. Il concerto è intriso di un lirismo struggente, espresso attraverso temi assieme accessibili e ambiziosi, che rispecchiano il desiderio di un popolo in bilico tra il mantenimento delle proprie radici e la curiosità verso orizzonti nuovi. Il celebre tema iniziale, introdotto da poderosi accordi del pianoforte, evoca il sentire della grande steppa, una terra vasta e piena di storie da raccontare.

Poi Modest Musorgskij, che con la sua opera Una notte sul Monte Calvo, esemplifica la tensione tra il sacro e il profano presente nella cultura russa. La sua composizione è un racconto musicale che attinge a leggende popolari, trasfondendo in note il mistero e la magia di un mondo rurale e antico. Musorgskij utilizza l’orchestrazione per creare un panorama sonoro che è al contempo una celebrazione della forza primordiale della natura e una meditazione sulla vulnerabilità umana di fronte a queste forze. L’uso delle dissonanze e del ritmo incalzante rappresenta non solo il tumulto dell’occulto, ma anche la lotta interna di un popolo che oscilla tra la tradizione ortodossa e le antiche credenze pagane.

Mikhail Glinka con Ruslan e Ljudmila crea un vero e proprio caleidoscopio di avventura e magia, ispirata ai racconti fiabeschi russi. Glinka utilizza l’orchestrazione per costruire un potente dramma musicale che esplora il tema del destino, invitando l’ascoltatore a un viaggio attraverso mondi fantastici.

Nikolaj Rimskij-Korsakov in Shéhérazade evoca le storie de Le mille e una notte, intrecciando melodie esotiche e orchestrazioni lussureggianti. Il compositore esplora il potere della narrazione e della fantasia, simboleggiando l’arte di raccontare come mezzo di sopravvivenza e trasformazione.

Avvince Aleksandr Borodin con La steppa centrale dell’Asia: questo poema sinfonico dipinto di suoni, rappresenta le vastità della steppa russa, rappresentando l’interazione tra diversi popoli e culture. Borodin usa melodie orientaleggianti e ritmi pacati per trasmettere una sensazione di pace e armonia, evocando le pianure sconfinate che fungono da culla di molte civiltà.

Immenso e disperato Pëtr Il’ič Čajkovskij con la Sinfonia n. 6 in si minore, Op. 74 ‘Patetica’:  capolavoro sinfonico è spesso considerato un testamento personale del compositore, pieno di struggimento e introspezione. Čajkovskij articola una narrazione tragica attraverso temi che evocano la lotta esistenziale, culminante in un adagio finale di disperante bellezza.

Mi ammalia tantissimo Modest Musorgskij con i suoi Quadri di un’esposizione, che in questa suite per pianoforte, (successivamente orchestrata da Maurice Ravel), cattura un caleidoscopio di scene vivide e potenti immagini archetipiche. La struttura a tema variato rappresenta una passeggiata attraverso una galleria d’arte, evocando la diversità e la vitalità culturale russa.

Sergej Rachmaninov nel suo Concerto per pianoforte n. 2 in do minore, Op. 18 offre un altro esempio di introspezione romantica, ammantato di liricità e potenza emotiva. Egliesplora il confine tra amore e nostalgia, tessendo melodie che sembrano riflettere la dolce malinconia dell’anima russa.

Aleksandr Skrjabin nel Poema dell’estasi celebra la spiritualità e il trascendimento, intrecciando temi luminosi e armonie innovative per esplorare la condizione dell’estasi umana, offrendo un viaggio personale verso la trascendenza.

Da non dimenticare mai Igor Stravinskij con La sagra della primavera: Anche se proiettato verso il ventesimo secolo, attinge ai temi della ritualità antica e del mito pagano in questo balletto rivoluzionario. L’uso avanguardistico del ritmo e dell’orchestrazione rappresenta l’energia primordiale e il dinamismo che sfida e trasforma le convenzioni.

César Cui ne Il prigioniero del Caucaso, basato su una poesia di Aleksandr Puškin, riflette il conflitto e la comprensione tra diverse culture ed etnicità. Cui utilizza suggestioni musicali per evocare i paesaggi naturali e le emozioni dell’amore e dell’esilio. Tanti sono stati i musicisti russi che hanno incarnato questo “genius loci” particolare, forse unico nel temperamento di un popolo, abituato alle crude avversità, affrontate con una innata dignità interiore, signorile, pronto al sacrificio estremo con le movenze di un nobile di alto lignaggio.

In questa ottica la musica classica russa diventa così uno specchio in cui si riflette la poliedrica e drammatica esistenza di un popolo: il dramma delle sue tragedie e la gloria dei suoi trionfi, il tutto imbevuto di un profondo senso di bellezza e speranza. È questa fusione di storia e suono, di cultura e emozione, che continua a risuonare nei cuori di chi ascolta, tramandando attraverso le generazioni l’eco di queste epiche narrazioni musicali. Non va dimenticato mai.

(Marco Grosso)