Meravigliosi Kamikazes – Gli Slade anni 80

Invito a vedere e diffondere il video della chiacchierata dell’altra sera, dove c’è un punto importante che va approfondito: il 1983 come anno di svolta per il Metal. Le prove: Sirens dei Savatage, Holy diver, l’esordio degli Exciter, Piece of mind, Into glory ride, Kill’em all, All for one dei Raven, Lick it up, Melissa, Balls to the wall, Crystal logic, Guilty has charged dei Culprit. Annata piena in cui si svolse un fenomeno circolare di capitale importanza, ovvero quando l’impulso iniziale scatena una risposta alla fine. Il disco che aprì al Metal la possibilità di svettare nelle classifiche, uscì prima dei sopracitati, a Marzo:

Metal health dei Quiet riot fu pubblicato con tutto ciò che si sa di esso; umilmente, vi porterò a conoscere una storia dimenticata. Perché non molti sanno delle vicende di chi scrisse C’mon feel the noise, gli Slade, e alla fine di quell’anno approfittando del successo crescente dei Quiet riot, la band inglese pubblicò il proprio grande capolavoro, The amazing kamikaze sindrome.

A differenza di come scrisse Tommaso Franci, Lemmy non fu Punk prima e dopo il Punk, perché forse lo furono gli Slade.

Perchè gli Slade non si sa cosa sono stati oltre un gruppo Glam con similitudini col rock duro. La cosa migliore del Punk è stata la sua capacità d’essere irreverente quando non si prendeva troppo sul serio come oltranzismo estetico.

E tali sono stati gli Slade, altrimenti sarebbero da ricordare come squallidi opportunisti; invece, risultano dei simpatici guitti.

Cresciuti nell’incubo della Black country a pane e Rock’n’roll, R’n’B, Soul e tonnellate di Blues, fecero scalpore nel 1969 per due cose: prima divennero Skinhead; quindi fricchettoni.

Opportunisti come tutto il movimento Glam di cui il Punk è costola, gli Slade vissero gli anni 1970 in quell’esperienza con alcuni dei dischi più incerti del periodo: più ruvidi che androgini, agitati ma non sudaticci come Hank the knife, sempre ad un passo dalle pantomime di certi bellimbusti.

Il successo gli arrideva, ma i loro dischi erano come quelli dei Queen: singoli d’assalto esplosivi circondati da brani loffi; il meglio di quel periodo è infatti la stupenda raccolta del 1980. Nel frattempo, finita la moda gli Slade entrarono in crisi, perché non sapevano come riadattarsi ai tempi. Cresciuti tecnicamente ma invecchiati interiormente, non potevano fingere un’adolescenza finita da tempo.

In quei giorni, New wave e Punk erano cose per persone giovani o più piacenti; per quanto a loro e a Jobriath i nuovi idoli dovessero tutto (tranne Ultravox e Simple minds) fra 1976 e 1979 gli Slade rilasciarono una discografia che denota crescita compositiva e titoli che chiariscono la storia meglio dell’ascolto: Nobody’s fools, Whatever happened to the Slade, Return to base.

Strana gente gl’Inglesi: sospesi fra tronfio e sublime con in mezzo il farsesco, fra Milton e Blake con in mezzo i Monty Python, fra Mud e Genesis separati da Elton John…

E Inglesi a modo loro, gli Slade si sono rifiutati d’essere assimilati ad uno di questi mondi, per poter fare gli ex proletari arricchiti senza supponenze ridicole nè slanci verso nuove dimensioni.

Allora tutto ciò mi dava fastidio: sembrava un modo ambiguo di fare musica. Pensavo bisognasse combattere l’elemento distruttivo del Punk e di loschi Poseur come i Talking heads perché pensavo la posizione intermedia non avrebbe giovato, neanche ai conti in banca. Riprendo uno stralcio della mia recensione del disco del 1977:

“Skinhead prima di tutti gli altri, ma per una stagione; psichedelici per un semestre; blues l’anno seguente; glam per un quadriennio sperando li accompagnasse alla pensione; peccato che David Bowie, quando era a un passo dall’Hard Rock liquefò e annientò tutta la scena per potersi camuffare meglio in futuro mentre distruggeva cinicamente la concorrenza di chi poteva seguirlo sulla sua strada. Oggi chi ricorda Flamin’ groovies o Marc Bolan?

Non so se poteva andare diversamente, ma assieme a tutti i loro sodali della scena Glam, un gruppo come gli Slade è finito, perché è troppo dura reinventarsi dopo aver battuto il chiodo nelle nostre orecchie fra 1972 e 1974 con dischi appesantiti di zavorra inascoltabile mentre sapevano scrivere bei pezzi di rock grintoso, sprecando talento e facendo la versione da Pub dei Mott the hoople”.

Avevo torto.

Già nel 1981 Till deaf do us part mostrava interesse per il nuovo corso della musica. Forse cercavano di ridare vita al glam rock, forse di sopravvivere quando incontrarono sulla loro strada John Punter, produttore affermatosi nel decennio precedente e fu con lui che tentarono il tutto per tutto. E proprio con The amazing kamikaze sindrome fecero il loro capolavoro.

All’epoca fui spiazzato dalla genialità della produzione: pur con suoni che volutamente andavano al passato creando un ponte fra due epoche, erano a modo loro freschi ed energizzanti.

Avevano assimilato più di altri la lezione degli AC/DC (anche perché l’avevano ispirata, altra circolarità). Parevano ringiovaniti, con quella fantastica copertina a quattro tonalità che credo ispirò anche quella dell’esordio solista di Vinnie Vincent.

Dentro quel capolavoro c’è tutto il loro piccolo cosmo musicale: forza, energia, ironia, farseschi travestimenti e atteggiamenti buffoneschi ma mai interamente dei buffoni (date un’occhiata ai video) ma per la prima volta su brani ben incisi.

Canzoni agili, melodiose e urlacchiate come sempre, musica festaiola, ballate ruffiane, assalti chiassosi e tonnellate d’ironia, finalmente con una resa fonica che oggi ci sogniamo, che rendeva eleganti canzoni dirette e attualizzabile un suono per certi aspetti datato.

Sospeso fra due mondi, Amazing kamikaze sindrome è il disco inaspettato, che scombina le carte in tavola. Avrebbe meritato di più, ancora oggi è un modo sicuro per sollevare l’umore d’una festa moscia.

Il successo fu tale che venne pubblicata una versione per il mercato Statunitense. allora ebbro e bulimico di musica Rock.

Le quotazioni degli Slade ebbero nuovo slancio, fino a quando nel 1985 tentarono il colpo doppio d’un disco che approcciava senza pudore i suoni più in voga con un forte uso di sintetizzatori intelaiati sulla loro struttura rodata (Rogues gallery) e ciò fu seguito da un divertentissimo disco natalizio (Crackers), ma qualcosa si ruppe di nuovo.

Per ironia della sorte anche ai Quiet riot non riuscì di ripetere il successo col seguito di Metal health; nell’indifferenza generale gli Slade rilasciarono un ultimo grande disco, You boyz make big noize nel 1987, mentre l’anno dopo era il turno dello sfortunato Quiet riot III di urlare inascoltato.

Non commento l’avventura di Hill e Powell con Slade II, assai simile all’imbarazzante carriera degli ELO II. Oltre i dischi segnalati, la raccolta B sides del 2007 compila singoli e brani scartati stupefacendo l’ascoltatore sulle reali possibilità degli Slade.