Saxon – volevo essere una rockstar…e ce l’ho quasi fatta

“Tutte le nostre prime canzoni hanno dei testi che parlano di affermare i propri diritti, di essere forti, di non mollare mai, di non arrendersi…e si basano tutti sul primo periodo della Thatcher, durante il quale ha distrutto il Nord dell’Inghilterra e il Galles del Sud. Il paese stava degenerando rapidamente e noi, le persone normali, avevamo solo la musica, e credo che un sacco di gente sia diventata fan dei Motorhead, dei Saxon, degli Iron Maiden e dei Def Leppard perché erano uno sfogo della vita reale. Credo che a quei tempi la gente pensasse che la musica fosse un mezzo per evitarsi la fila per il sussidio di disoccupazione”

Byff Byford

Tante volte ve lo foste chiesto, ecco servito il motivo del successo per i Saxon. Non sono mai stati dei bellocci, né geni dello strumento. Avete mai provato a suonarli? Di recente mi sono lanciato in un tributo ai Saxon, a maggio faremo ben due date ma non è di questo che vi voglio parlare, ho troppo rispetto per queste pagine.

Dicevo, sanno suonare il giusto, suonicchiano, si direbbe; quasi tutti i loro pezzi hanno la stessa struttura, ruotano attorno a due riff, tre quando è grassa. La band ha pubblicato nel 2024 il suo disco in studio numero ventitré, e pare sia pure un gran bel lavoro, a giudicare dai consensi raccolti nelle poll di fine anno.

On stage mietono vittime praticamente da sempre e sono ormai presenza fissa su palchi grandi e piccoli d’Europa; non esiste venue o festival che non li abbia mai visti in cartellone almeno una volta, sfido a provare il contrario.

Neppure il Festival di Sanremo (era l’83, storia nota ormai) è riuscito a sfuggire al loro impeto, incredibile eh?

Non è mai stata una band con lo sguardo rivolto al passato, questo va riconosciuto: ok, c’è stato il disco orchestrale, la raccolta con i pezzi risuonati, ma si tratta di episodi estemporanei, degli step quasi irrilevanti in una carriera lunga cinquant’anni.

Soltanto oggi la band di Byford può permettersi di portare in tour tutto “Wheels Of Steel” perché gli va di farlo e non per una ricorrenza particolare.
Una mia vecchia conoscenza sosteneva anni fa che una band come loro oggi non uscirebbe neppure dalla sala prove, sempre che esistano band e sale prove.

Ogni tanto ci rifletto, siamo nel 2025 e i Saxon fanno sold out al Live Club di Trezzo, millecinquecento presenze e spiccioli. I Saxon, una delle band più demodé che ci siano. Hai voglia a dire che sono attuali: dal ’90 che la band ha progressivamente messo la Germania al centro della propria mappa gettando le basi per la propria sopravvivenza.

Solid Ball Of Rock” fu registrato ad Amburgo e prodotto da Kalle Trapp. “Forever Free” venne concepito in Austria, la band fu affidata a un produttore traffichino che cercava di finanziare i propri studi di registrazione attraverso fondi pubblici (storia incredibile, era il ’91, il PNRR non esisteva ma gli austriaci a quanto pare finanziavano la qualunque con i soldi pubblici) ma il disco fu una chiavica senza pari.

Non facendosi prendere dal panico, i Saxon affidarono il disco successivo a un certo Charlie Bauerfiend che si attaccò al cadreghino della console per un paio di lavori, contribuendo a mantenere la band sui binari giusti. A ben vedere però i danni veri in console li ha fatti Andy Sneap negli ultimi anni.

Intendiamoci, non è solo colpa sua perché alla fine sul campo, parafrasi sportiva, ci vanno i musicisti con le loro canzoni.

La germanizzazione dei Saxon col tempo è diventata completa, oggi sembrano i cugini d’oltremanica dei Running Wild, convertiti a un sound continentale un po’ come se si fossero scoperti discendenti di una antica casata.

I dischi dal 2000 trasmettono le stesse emozioni di un ballo tirolese eseguito dagli ospiti di un nosocomio travestiti da Arlecchino, fa eccezione il solo “Thunderbolt”, che non so perché ma quando parte la title track mi viene da mettermi a saltare in piedi sul divano stile Guido Meda, ma sfido qualcuno a emozionarsi su ciofeche come “Battering Ram” o “Sacrifice”.

La verità è che Byff ha provato a tutti i costi a fare la rockstar: dopo la sacra triade di dischi che tutti conoscete, dal momento successivo è stata una progressiva, dapprima timida ma poi dichiarata volontà di successo negli States. Galeotto fu il tour con i Motley Crue, Byff si fece una sequenza di scopate senza confronti in termini numerici: se questa è l’America devo piantarci subito la bandierina, dice lui.

Ma non potevano, non sarebbero riusciti neppure in un universo parallelo stile Star Trek: il finale era già scritto e prevedibile. Hai voglia a fare il disco AOR e canzoni commerciali, quella roba non era nelle loro corde, solo che è più facile dare la colpa alla Carriere, alla EMI, sfogare i risentimenti sugli Iron Maiden (band che da sempre gioca un altro campionato) piuttosto che ammettere di avere pestato il merdone.

Ricollocarsi in Germania è stata la scelta più felice che la band potesse fare da un punto di vista commerciale, anche se vorremmo tanto risentire quei riff e quel groove in stile AC/DC che Byff aveva introdotto nello stile della band.

A volere dirla tutta, nella carriera dei Saxon fra i momenti memorabili possiamo annoverare quei famosi tre dischi, un po’ di “Power And Glory”, “Innocence Is No Excuse”, che sarà commerciale quanto volete, ma è ispirato e neppure poco. “Solid Ball Of Rock” è il disco della rinascita e della svolta, quello in cui l’ipotetica curva della carriera rimbalza verso l’alto.

“Unleash The Beast” altro disco della madonna anche se a distanza di anni è impossibile ignorare una produzione di livello ignobile; la varietà del disco va di pari passo con la performance di Nigel Glockler dietro le pelli, al punto tale che la band ebbe la sensazione che fosse la sua ultima prestazione, da quanto era stata ricca e generosa.  A voler essere magnanimi anche “Thunderbolt”, o uno qualsiasi dei dischi post 2000. Di tutto il resto, se si salvano un paio di pezzi a disco è grasso che cola.

Il punk, dice Byff, ha fatto concentrare un sacco di gente su ciò che è davvero importante, i riff e l’aggressività che andava dritta al punto. Non eravamo come i gruppi degli anni ’70, intenti a fare i ghirigori immersi nel loro mondo. Noi avevamo un occhio sul passato punk e un altro puntato fermamente sul futuro.

Unite tutto questo, una coesione di intenti e una ambizione senza eguali, all’attitudine di riscatto e rivalsa cui facevamo cenno all’inizio di questo articolo e avrete la spiegazione di un successo che dura ancora oggi.