Cesare Pavese era un Incel

Come reagireste se io vi dicessi che Cesare Pavese era un incel? Immagino sappiate cosa significhi questa parola. Se non lo sapete ecco, indica oggi quel certo tipo di uomini che restano celibi pur non volendolo, anzi. Si sentono rifiutati dall’universo femminile e in pratica lo sono, nonostante vedano se stessi come appetibili, interessanti, migliori di tanti altri maschi con fidanzata o sposati. Essere respinti da ogni donna, a partire dalla compagna di classe delle elementari fino all’ennesima tipa incontrata a una festa, conduce questi uomini a odiare tutte le femmine, in quanto tali e talvolta a compiere atti disastrosi per vendicarsi di un torto così grave, per loro.

Cesare Pavese era un incel. Basta leggere le pagine di Il mestiere di vivere, diario pubblicato postumo, spulciare un po’ anche la sua vita privata, ormai nota a tutti, per capirlo. Lo era, anche se al tempo nessuno avrebbe mai potuto bollarlo con questa parola. Più esattamente nessuno poteva definire Pavese in un modo che totalizzasse la sua condotta, in qualsiasi ambito, semplicemente partendo dal suo rapportarsi disastroso con le donne e il livore che esprimeva nel tempo verso di loro.

Era un poeta, cazzo, un intellettuale brillante, un editor eccezionale, un traduttore impareggiabile, un uomo, un figlio e un tremendo sfigato con le donne, ok. Oggi dicendo Incel, però come vedete Pavese? Non ci state, eh? Ma vi assicuro che rientra perfettamente in quella definizione. E il termine moderno assorbirebbe tutto il resto se non stessimo parlando di Cesare Pavese ma di un pinco pallino che riempie un blog di risentimento verso l’universo femminile e poi si suicidava, molto probabilmente vergine.

Le poesie di quest’uomo sarebbero comunque le poesie di un Incel. I romanzi, il lavoro culturale fino al suicidio sarebbero i romanzi, il lavoro e il suicidio di un incel. Se non stessimo parlando del grande Cesare Pavese.

Sapete cosa ho pensato io la prima volta che mi è stato detto che Cesare Pavese era un Incel? Ho ridacchiato. Mi ha divertito l’idea che questo eroe della letteratura novecentesca venga racchiuso in quella parola da serial killer. Ho provato un senso di potenza nei confronti di questo gigante da tema di maturità.

Poi però ho visto Baby Reindeer, una miniserie di Netflix e qualcosa mi è scattato. Ho ripensato a Pavese Incel, a questa parola e a come oggi sia solo una delle tante etichette speciali che vengono usate da molta gente per denunciare un comportamento malsano: avrete sentito dire che il tipo è border, la tipa è bipolare, quel ragazzo è autistico. Sembra gergo psichiatrico ma è linguaggio comune e di solito lo si usa come una volta si diceva: spastico, mongoloide o ritardato.

Le mie figlie usano spesso questi termini nuovi, assai più tecnici e precisi, per indicare una compagna di classe con difficoltà di inserimento e di apprendimento.

Baby Reindeer parla di stalking. Appena leggete il riassunto nell’anteprima di Netflix vi pare di capire in un colpo solo di cosa tratti la storia. Una stalker, che è una donna grassa e matta, perseguita un povero barista che ha commesso l’errore di darle confidenza una sera qualsiasi. Questo è il motivo per cui ho atteso diversi mesi prima di guardarmi la miniserie. Mi sembrava scontata. Ho già visto film del genere, già negli anni in cui la parola stalker nemmeno era usata e si parlava più genericamente di un maniaco, uno psicopatico, un “tipo diabolico”, per indicare l’antagonista che perseguita il povero o la povera sventurata che ha commesso l’errore di parlargli o solo incrociarne lo sguardo.

Poi, dopo che “stalker” è diventato una parola molto comune, sono arrivati un sacco di documentari su storie di “stalking”, intere serie basate su fatti veri, quasi tutte avvenute dopo il 2001. Trova la cosa e avrai bisogno di una parola. Trova la parola e avrai ancora quella cosa, per molto tempo.

Su facebook ho letto diversi post di gente che accusava qualcuno di essere stato “stalkerato” e di aver “bannato” la tizia perché non ne poteva più. Un giorno io stesso ho ricevuto un messaggio di un mio contatto a cui domandavo conto di alcune dichiarazioni offensive nei mei confronti di smetterla di raggiungerlo con nuovi profili (mi aveva bannato) o mi avrebbe denunciato per “stalking”.

Parola magica che bastò a farmi desistere da un confronto e lasciar andare.

Ovviamente ho pensato: io non sono uno stalker. Che cazzo dice quel malato mentale?

Poi ho visto Baby Reindeer e ho capito che quel film è molto di più di una banale storia di stalking. E nel finale, proprio riallacciandosi al titolo (che significa piccola renna), qualcosa si è infranto dentro di me e ho capito che è ora di smetterla con queste cazzo di parole che acciuffano qualcuno e lo riducono a nulla.

Nella miniserie non solo i ruoli del perseguitato e del persecutore vengono smontati via via che la trama raggiunge la parte risolutiva, fino a confondersi, ma lo spettatore sprofonda dentro quelle etichette, che come ghiaccio sottile, rivelano lo stalker e lo stalkerato come universi assai più complessi e oscuri di quello che un termine anglofono possa coprire. I due protagonisti sono esseri umani come noi, con storie molto diverse ma piene di dolore e di solitudine. La calamita che li porta a incontrarsi e far scattare il processo chiamato limitativamente “stalking”, nasce nelle profondità di entrambi, dallo stesso fiume nero che tutti ci bagna e tenta ogni giorno di trascinarci via con sé.

Abbiamo un sacco di etichette a disposizione per ridurre i nostri simili a una banale minaccia da denunciare, allontanare e bannare, e sono certo che ci sia là fuori molta gente che ha sofferto le persecuzioni di chi non riusciva a lasciar andare e insisteva a seguirli, parlargli, scrivergli.

Ma nel momento in cui chiudiamo una persona in una scatolina con una parola sopra, servirà solo ad acciuffarla e non vederla più. Non penseremo ad altro che a quella parola e nessun uomo o donna potrà mai accontentarsi di essere semplicemente una parola del cazzo.

Cesare Pavese era un uomo infelice, arrabbiato, tragicamente invaghito dell’universo femminile o un incel. Decidete voi.