La Finlandia è l’ultimo posto al mondo dove si immagina che la musica metal neoclassica possa attecchire. In parte è vero, la terra dei mille laghi verrà ricordata per Amorphis, Children Of Bodom, Sonata Arctica, Hanoi Rocks non certo per Therogothon, Entwine e, appunto, Kenziner. Eppure questo ex baldo giovine (ora ha tre anni meno di me, un vecchio relitto, insomma), tra il 1998 e il 1999 diede alle stampe due dischi di neo-classical progressive metal “attenzionabili”.
Il primo Timescape è quello che mi piace di più, ha la freschezza dell’esordio, la voglia di mostrare i muscoli, e di muscoli e tendini il buon Jarno Keskinen ne aveva abbastanza. Non mi interessa il trascurabile rientro del 2020 Phoenix, la pallida ombra di ciò che fu, che poteva benissimo risparmiarsi.
Ma su Timescape c’è roba interessante. Rispetto ad altri imparuccati cicisbei dalle camicie svolazzanti di merletti, la forma canzone è più aggressiva, la potenza prevale rispetto alla melodia in minore, c’è più intrico e voglia di complicare le strutture, con dissonanze, tempi dispari e continui cambi di riff e ritmo.
Come in un incredibile crossover culturale, va a ripescare dall’oblio Stephen Fredrick, voce degli Spike (la prima band di David Chastain), che dal 2003 poi sarebbe entrato nei Firewind. Lui ha un tono ruvido, rasposo, ha il graffio, e ci ho messo anni per metabolizzare il suo timbro, che fatico ad apprezzare. Ma qui funziona abbastanza, anche se sugli acuti annaspa parecchio.
Il maestro Kenziner suona tutti gli strumenti, meno la batteria, e se la cava molto bene. Originalità? No grazie, Pezzi memorabili? Passiamo oltre. Ma se allora giustamente Timescape non è un disco da 9 o da 10, perché ne parli? Per due motivi; è giusto ripescare quella fascia media che ha una qualità più che rilevante e a cui vale la pena dare una seconda chance; Due: il fascino perverso, per me, dei dischi minori e dimenticati, irresistibile. Se uscisse oggi, in mezzo a tanta merda, un disco così farebbe comunque la sua porca figura e credo che risentito adesso sia invecchiato più che dignitosamente.
Di Kenziner ritengo migliore caratteristica quando scompone, si fa atonale, dissonante, quando sui sedicesimi e sui tempi dispari cambia continuamente registro, piuttosto che le volte in cui tenta di imbastire melodie carine, ma non memorabili. Un ottimo musicista che, affiancato da un songwriter più dedito alla forma canzone, avrebbe spaccato tutto. Invece ha solo lasciato cadere a terra un portacenere, ma con garbo ed eleganza. Non sono costretto, per fortuna, a scrivere soltanto di ciò che è passato alla storia, perché nella mia storia ci sono spesso cronache della plebe e non solo di re e di imperatori.
Marco Grosso