Olocausto metal anzi no!

Nel 1994 gli Immortal intitolarono un loro disco Pure Holocaust. La cosa non suscitò chissà quale scalpore tra i giovani metallari. Durante le interviste, Abbath disse a più riprese di fare “Holocaust Metal”. La cosa durò del tempo, ma a un certo punto lui e Demonaz conclusero che era meglio smettere, per non essere associati alle idee naziste che altre band nordiche dello stesso genere, etnia e geografia, professavano con grande passione e convinzione.

In effetti cosa c’entrava l’olocausto con gli Immortal? Nei loro scenari innevati c’erano solo neve, ghiaccio, lupi, un corvo gigantesco e uomini nudi o quanto meno in deshabillé che facevano una brutta fine nella tormenta. Perché l’olocausto? Beh, anticamente era una parola usata sia tra greci che ebrei, per indicare il sacrificio di qualcuno. Qualcuno che veniva bruciato.

Oggi “Olocausto” vuol dire lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Se vogliamo immaginare i forni come luoghi adibiti al sacrificio di menti pagane, possiamo anche farlo. C’è una vasta bibliografia che analizza le connessioni tra paganesimo e nazisti, tra occultismo e Reich. La parola Olocausto in merito al bruciare tutta quella gente, forse per quel matto di Hitler aveva una valenza sacrificale verso chissà quale dio resuscitato dalle viscere del passato germanico.

Ma non credo che gli Immortal pensassero effettivamente a ciò che fece Hitler agli ebrei. Così come non ci pensarono gli Holocaust, band britannica della NWOBHM, quando si chiamarono così.

Il metal professava nei primi anni 80, idealmente, la distruzione di tutto. In molti pezzi i ritornelli urlano che le città bruciano, i templi cadono, gli dei muoiono, e si finisce nel fuoco, nel fuoco, nel fuoco… Into The Fire, I Want You To Burn! Dai Metallica ai Dokken fino al capostipite della piromania ritual-pop Arthur Brown e il suo meraviglioso mondo.

Gli Immortal usarono solo una parola forte per esprimere il casino che facevano, la foga distruttiva e rigenerante dell’olocausto. Ma non convinse molto l’etichetta con cui stavano e così smisero di usare quella parola durante le interviste. Diedero un taglio con una frangia dei loro sostenitori, convinti che dietro la parola Olocausto ci fosse una dichiarazione di appartenenza a certi principi. Qualche folle li ripudiò ma un pubblico vastissimo li accolse ancora di più senza remore residue, voglioso di percularli e amarli insieme, come si amano i giocatori di calcio più scarsi, capaci fantozzianamente di raggiungere il sublime con un auto-gol.

Gli Immortal di oggi sono più o meno questo, ma al tempo di Pure Holocaust non c’erano i meme in rete. Il video di Rise Of The Winterspoon non lo videro in molti e molta gente sapeva che quei tizi frequentavano i pazzi che si erano ammazzati, i bruciatori di chiese di Oslo, quindi se quelli mettevano Olocausto su una copertina, c’era da stare attenti, no?

Oggi nessuno prenderebbe sul serio quel Puro olocausto di cui parlavano gli Immortal nel 1994, nessuno prenderebbe sul serio niente di loro. Fenriz pure è un amico dei gatti, un omaccione dal sorriso irresistibile. Ma quale nazismo? Quale anticristo?

Pure Holocaust può rimanere così, tanto Abbath non farebbe mai nulla di male agli ebrei. Lui se la prende solo con gli Hot Dog. Lasciamo che usi quel vecchio titolo, almeno per un altro po’ di ristampe. Poi arriverà il giorno in cui gli Immortal, per continuare a vendere copie restaurate, remixate e rimpolpate di extra del loro disco, dovranno cambiare quel titolo. E probabilmente lo faranno. Che volete che sia?

Sapete, io credo che il metal stia combattendo una battaglia, che sia una forma di resistenza, da sempre. Lo dice bene Bruce Dickinson. C’è una sua dichiarazione di non so quando che gira sui social: “il metal non cambia e noi vogliamo che non cambi, questo non è compreso da chi ascolta pop. Il pop è sempre diverso, muta con il mutare delle mode, delle tendenze. Il metal invece resta sempre uguale e non muore. Ecco perché facciamo paura”

Dice qualcosa del genere. Ed è bello. Io però non credo sia questa la battaglia del metal, se proprio vuole combatterne una. Penso che invece  dovrebbe difendere gli oltraggi e le provocazioni che il genere ha saputo trasformare in espressione creativa negli anni passati. Almeno quello. Non me ne frega niente della purezza del sound, della deontologia acustica o d’incisione di tanti musicisti e appassionati sul come si sente, fruisce e registra musica metal in un mondo digitalizzato e per l’illegalità e il disordine dello streaming e dello scaricamento selvaggio; qui non c’è nessun reale nemico. Il mondo lascia tranquillo il metallaro a fare ciò che vuole. A patto che non rompa i coglioni con cose proibite e che si adegui al diktat culturale che sta prendendo sempre più piede. Viva l’inclusività, la parità delle specie, gli animali come gli umani, gli umani come gli dei, gli dei come gli animali.

Il metal secondo me dovrebbe difendere la propria impresentabilità, il proprio essere, a favore degli sconfitti, fossero pure dei vecchi nazi gay in fuga in Argentina. Il metal ha sempre saputo usare i simboli che la società odia, teme e rifugge, sfiorandoli appena, senza neanche brandirli troppo visibilmente. Basti pensare ai Rammstein e le loro pose culturiste, sufficienti a far gridare al filonazismo. Basti pensare al testo di Angel Of Death, così privo di biasimo moralista verso Mengele, da far gridare ancora al filonazismo.

La società ha un problema con il nazismo e non lo risolverà mai negandolo e occultandolo. I traumi vanno portati in superficie e guardati ogni giorno. Come disse Hoest dei Taake quando se lo inchiappettarono non so dove per via di una svastica che si era disegnato sul panzone: “siete voi ad avere un problema con questo simbolo, non io. Io ve lo mostro e voi impazzite. C’è qualcosa che non va. In voi, non in esso. Esso è solo lo stemma di una cosa morta, andata, estinta come i suoi incarnati. Hitler è defunto e non tornerà più. Siete voi a temere i fantasmi.

Amen. Pace e bene. Padrecavallo,