I Nocturnus sono tra le mie band preferite. Apprezzo molto Thresholds e financo Ethereal Tomb non mi dispiace affatto. Persino il 7” omonimo per me è molto interessante, nonostante l’assenza del mastermind Mike Browning. Avevo accolto con curiosità il ritorno con la nuova sigla “A.D” del non esaltante Paradox e francamente non avevo grandi aspettative su questo nuovo Unicursal. Ho fatto la grande cazzata di comprarmi il vinile doppio (se qualcuno lo volesse, contatti Padrecavallo così glielo vendo volentieri) e dopo ripetuti e approfonditi ascolti, il verdetto personale è: irrimediabile delusione.
Formalmente sembra girare tutto bene per un fan del death metal tecnico, ma in realtà manca la sostanza, l’anima e soprattutto i grandi pezzi del passato. Intanto Wikipedia mi informa che ben ventidue musicisti si sono avvicendati nei Nocturnus, segno chiaro che l’instabilità è sempre stata una costante (negativa), che ha impedito un consolidamento stilistico e compositivo in evoluzione e perfezionamento.
La migliore coppia di chitarristi possibile (McNenney e Davis) unita a quel genialoide schiaccia tasti di Louis Panzer è ormai passato remoto e nessun altro sostituto è mai riuscito a comporre brani solo lontanamente paragonabili ai loro. Lo stesso Browning ha uno sguardo passatista per me fastidioso, quando continuamente cita The Key, ogni tre per due, per ribadire quanto ogni suo lavoro è il tentativo di replicare quell’album all’infinito, sia nei suoni che nelle liriche.
Una sequela di virtuali “Parte II” inconsce che finché non si sradicano dal suo sub-conscio inficeranno quello che di buono esiste e che viene soffocato dall’emulazione sterile di sé stesso di trentacique anni fa. Unicursal in sé non è brutto, i suoni sono accettabili, ma non splendidi, le canzoni sono strutturate nella formula antica, con parti ultra-tecniche e tastiere spaziali, però manca totalmente la grandeur animica che vitalizzava appunto The Key.
L’artwork è francamente imbarazzante, in particolare dentro, con gli omini stile Grandi Antichi appiccicati sulle facce dei musicisti, lo schemino tecno – esoterico nella seconda di copertina, degno di quelle textures imbarazzanti “free use” dei siti stock di clipart. Copertina anonima e bruttarella e il cantato di Browning fastidiosissimo.
Uno staccato ritmicamente irritante, tra il recitativo e il didascalico, che non crea una linea vocale vera e propria, quanto un mero accompagnamento alla musica. Infatti quando prevalgono le parti strumentali tutto gira meglio. I testi non mi sembrano così ficcanti, (per esempio Mesolithic sembra una scheda del sussidiario delle elementari da quanto è banale e a tratti ridicolo) e le così sbandierate citazioni cabalistiche sono davvero superficiali e stereotipate, roba da Libro Infernale delle bancarelle.
La ciccia non c’è, almeno per il sottoscritto, le canzoni a ogni ascolto successivo e ripetuto perdono forza e carattere, calando di pregnanza. Non tutto è da buttare, ci sono alcune parti interessanti, penso a quelle in cui le tastiere e le chitarre tessono una tela meno death e più ambientale, sperimentazioni tribali percussive e l’uso del theremin, che personalmente avrei sfruttato di più.
Ma non basta e non mi basta, dove si nasconde la geniale follia dei vecchi dischi? Quello che resta, dopo aver tolto il vinile dal piatto, è la voglia di non rimetterlo, segno che qualcosa non funziona a dovere. Paradossalmente la canzone più bella e davvero interessante è la bonus esclusiva per il cd, Nocturnus Will Rise, che altro non è che il rifacimento ammodernato di un vecchio demo pre-The Key. Ecco, questo correre avanti con la testa indietro che la band sembra percorrere è un segno dei tempi, comune a troppi altri, che poi conduce a mediocri “copycat” in tono minore di sé stessi. Peccato, occasione persa e credo irrecuperabile nel futuro prossimo.
Marco Grosso