Frantic Fest 2024, durante l’esibizione dei Marduk, il solito grumo di soyoni che da qualche tempo tenta di sabotare il DNA del Black Metal, ha inscenato la sua pantomima woke fatta di trenini che neanche le peggiori conigliette del pride, e di delfini gonfiabili che neanche dei cerebrolesi da sostegno scolastico.
I poveri Marduk, a quel punto, professionalissimi nel portare tecnicamente a termine il live, hanno affidato al cantante Mortuus l’incombenza di sfanculare la buffonata, abbandonando il palco in segno di disprezzo per un pubblico indegno.
Questo il tristo episodio.
Ma il tema in sé è molto più ampio, politicamente organizzato, e mediaticamente pianificato. L’insensantezza di architettare eventi in cui artisti troppo diversi fra loro costringono i propri pubblici di riferimento a mischiarsi, fottendosene dei rispettivi differenti ideali, attitudini, storicità, e sensibilità, sembra essere divenuta una formula accreditata.
Ok, ma accreditata da chi? “Dall’ingordigia dei mercanti e da tutti quei depressi che odiano il proprio sangue”. Lo so, è un’auto-citazione; ma quando uno c’ha visto lungo come il Sottoscritto, pagandone uno scotto d’odio coi fiocchi e rimanendo inascoltato per lustri, può permettersi quello che cazzo vuole.
La stagione dell’imbastardimento estetico e spirituale volto a minare i concetti stessi di identità e unicità, fu inaugurata nel biennio 1990-91 in occasione del tour americano dei Sisters of Mercy con i Public Enemy (fa già ridere così), quando un po’ tutti gli attori in campo, nel maldestro tentativo di espandere il proprio pubblico ed incrementare i rispettivi guadagni sfruttando la capienza di spazi che i singoli artisti da soli mai avrebbero potuto sfruttare, provarono a sventolare assieme la fallimentare bandiera della fratellanza universale.
Risultato, botte da orbi fra rapper e darkettoni già dalle prime note di “Black Planet” e polizie di mezza America che posero fine alla patetica iniziativa.
Ora, resta evidente che a Francavilla al mare ’24, il tema “miscuglio” non sia di natura etnicista come lo fu negli Usa dei primi anni ‘90, ma attitudinale. Tuttavia, il corto circuito creatosi in entrambe le situazioni produsse/produce nella coscienza di artisti e pubblico il medesimo senso di prostrazione e inadeguatezza, confermando i medesimi intenti globalisti e sradicanti dei suoi loschi registi.
A quei tempi stampa e pubblico non erano ancora scimuniti dal politicamente corretto quanto oggi, dove invece si è subito evidenziata la spaccatura fra la genuinità di chi si è schierato con Mortuus, e il servilismo di chi non ha perso tempo per confermare l’ormai proverbiale deriva woke che qualifica sia i coglioni del trenino coi gonfiabili, sia i vermi che li giustificano.
Per quello che riguarda nello specifico il ruolo degli scribacchini che bolleranno come arrogante la re-azione di Mortuus, sarà l’ennesima leccata di culo ai loro padroni ideologici.
Quanto a Noi, in quel fiero gesto di abbandonare il palco percepiamo solo l’aristocratico rifiuto di un degrado che, bontà nostra, è a quanto pare ancora reversibile.
Suaviter, G/Ab VOLGAR.