Una raccolta di pensieri, menzioni e ricordi dedicati ad un papavero nero, tanto bello quanto fiero. A cura di A/G Volgar dei Deviate Damaen.
Voglio esordire ringraziando Sdangher per l’ospitalità di queste righe, forse irrituali, sicuramente meste, ma profumate d’affetto e ammirazione per un personaggio irripetibile della scena musicale estrema italiana che per tanti di noi è stato soprattutto un amico.
E dato che nulla varrà mai a lenire il vuoto che la dipartita di un amico ci lascia, tutto dovrà esser speso per tenerne viva la memoria, per glorificarne le gesta, per immortalarne l’onore e per corroborare la determinazione dei suoi sodali a proseguire anche in suo nome ciò che prima si faceva col suo nome accanto.
A tal proposito, mio caro Simo, prometto di portare avanti ciò che avevamo iniziato assieme; e di dare alla luce, anche per tuo conto, la tua ultima bombarda musicale, donatomi da te in vita il privilegio d’esserne il cantante.
Tanti i fotogrammi di esistenza condivisi e tutti radicati in momenti cruciali del percorso artistico di entrambi; già, perché è stata la musica a farci conoscere quasi trent’anni fa. Arduo quindi fare una cernita ragionata dei troppi bei momenti, tanto più che con te si rideva sempre, quando c’era da ridere e quando non c’era.
Mi sovvengono l’assolo di tastiera su Delle Rose Solo Le Spine, improvvisato in sala mentre mischiavi i ciclostili del Mein Kampf a quelli coi passi del Vangelo che l’ottuagenaria Madame Prevost si apprestava a recitare. O la celebrazione del Cristo Morto del ’98, a Orte, quando, carichi di microfoni nascosti ovunque per registrare canti e sfondi, con tanto di stola liturgica al collo, volevi farti accendere dai due pizzardoni in alta uniforme che si erano messi in processione proprio dietro di noi, una volta capito che non eravamo lì esattamente per onorare la funzione del Venerdì santo.
Infine, voglio ricordare pubblicamente la delicatezza con la quale speravi sempre che l’ultimo ragazzotto palestrato che entrava nei Deviate Damaen fosse anche qualcuno che potesse riempirmi il cuore. Volevi quasi convincere tu me che l’amore potesse ancora essere quel sentimento puro e libero che virili fauni e leggiadre ninfe vivevano nel mondo antico, e non la lercia politica di oggi.
Insomma, mi volevi vedere sistemato, in un modo o nell’altro, sebbene io mi prodigassi a convincerti che la mia forma d’amore ideale fosse sempre stata l’amicizia; e che l’impegno sentimentale classicamente inteso, per un libertino come me, fosse sempre stato qualcosa di esiziale e improponibile. Al che, mi sorridevi e mi rincuoravi con quel misto di goliardia allegrona e di spassionata accettazione dell’altrui punto di vista che ha sempre reso il tuo abbraccio speciale al mio sentire, come l’ultimo, non poco alcolico, scambiatoci la sera del mio compleanno.
Mi manca, tanto, quella tua intraprendenza pindarica, artistica e militante che provavi sempre a infondere in ogni contesto, senza mai timore di veder tradito il tuo entusiasmo da chi non era altrettanto coraggioso e limpido; e mi manca quella tua maestria nel farti collettore delle energie più disparate, che mai, senza di te, sarebbero potute confluire in nuovi, improbabili sodalizi.
Non sono certo di averti contraccambiato abbastanza, sai; senz’altro avrei voluto conoscerti più a fondo, soprattutto artisticamente, di quanto non sia riuscito a fare in tutti questi anni. Gli amici sono talvolta come è il Colosseo per chi vive a Roma: avendolo a portata d’occhio, non si ha mai fretta di visitarlo a dovere, contando su una cifra temporale che non sempre poi la vita ci concede. Ma sta sereno, in un modo o in un altro, in un mondo o nell’altro, ci rifaremo.
Fidati di me, ancora una volta.
G/Ab VOLGAR
A seguire i contributi di amici e colleghi:
L’arte, come tale non conosce limiti, a essa spesso vengono apposti ostacoli ideologici, generazionali, avvelenata dall’invidia e ignoranza, ma essa Vince sempre sopra ogni cosa, sopra ogni pregiudizio. Il Venerabile Yorga fu l’esempio più puro e fulgido di ciò che significa l’Arte : Libertà ,spirituale, ideologica, oltre le parole, oltre la mediocrità! – Jonathan Asmodeus Garofoli
L’esuberanza è stortura agli occhi del normalizzato, ma fiamma di vita per il Genio. I Diavoli del mondo vanno ricordati. Ad Honorem. – Matteo Antonelli
Fuori dal marasma social, in buona parte, spesso vengo avvisato di ciò che succede in Italia da terzi e in ritardo. Come può capitare, chiaramente, le notizie non sono sempre buone. Mi ritrovo quindi a riflettere oggi sulla recente scomparsa de Il Venerabile Yorga, personaggio fondamentale in quel di Roma durante la seconda metà dei ’90 e non solo. Per chi non l’ha conosciuto di persona, come il sottoscritto, ma ne ha apprezzato il talento artistico da ormai venticinque anni a questa parte, parliamo dell’immenso cantante di Aborym nel fondamentale “Kali Yuga Bizarre”. È stato Yorga a dare un volto alla band pugliese (in quel periodo appena resuscitata a Roma), accompagnato dal genio di Volgar di Deviate Damaen, piuttosto che le comparsate di Attila Csihar (featuring artist all’epoca e poi entrato in pianta stabile nella band dal successivo “Fire Walk With Us”).
Yorga aveva una voce unica e una timbrica impressionante in molteplici stili, capace di interpretare gli Aborym in maniera spettacolare e quindi essendo il frontman perfetto per la musica di quella formazione in quel disco.
Dopo la sua separazione dal progetto in questione ne persi le tracce, pur continuando a vederlo come un’icona del genere. In quanto voce chiave nel black metal italiano dell’epoca penso sia importante ricordarlo come il talentuoso artista che è stato.
Una perdita importante per tutti i sostenitori della musica estrema tricolore.
Che la terra ti sia lieve, Venerabile Yorga. – ROB (Museo del Black Metal Italiano)
In fondo, Ermes è l’intelletto della forza divinizzante l’uomo. Il poeta nei momenti di estro (istros = furore) – il matematico che risolve problemi arditissimi – il fisico che trova una legge e la prova – un oratore che seduce un’assemblea – un musico che incanta i suoi uditori – sono manifestazioni dell’ermes, intelletto sottile delle più alte pulsazioni iper-cerebrali. La filosofia ermetica è la scienza che ricerca questo dio inafferrabbile e lo fissa. (Kremmerz) – NIBIRU
You’ll lie down, in the land of Mordor, where the shadows lie. Farewell. – Khamûl 66
Ti ho scoperto oltre vent’anni fa come Yorga ai tempi di “Kali Yuga Bizarre” e ti ho riscoperto da poco come “Il Sancane”. Non ti ho mai conosciuto di persona, ma sapevo che eri un personaggio d’altri tempi, forse uno degli ultimi residui di un’epoca in cui osare era la norma. Mi piace pensare che potremo continuare comunque a dialogare attraverso le tue opere, come un vecchio amico mai incontrato realmente. – ROBERTO FERRANTI.
Voglio la notte oscura, voglio distruggere il chiaro di luna. – THN
Attento al nano.
Centomila, qualcuno, uno: Un uno importante costituito da centomila nomi, innumerevoli sfaccettature apparentemente distanti, mutevoli, ma unite da una coerenza sovrumana che affascina, conquista, e diverte sino alle lacrime.
Coraggio: Se penso a Simone la seconda cosa chi mi viene in mentre è il suo coraggio che si manifesta nei modi più originali, spesso scellerati. Una notte su un lago con amici. Discorsi seri, alternati a smorfie, boccacce, oggetti domestici branditi come armi, dita negli occhi e l’idea a pochi istanti dall’alba di trafugare una barca per trasformarci pirati. Lo convinciamo a desistere vittime del troppo cibo, della troppa stanchezza, e dalla (mia) troppa mancanza di agilità, nonché troppa apprensione per la coscienza di essere circondati di telecamere puntate sul molo dei borghesi. Quei borghesi della parte bene di una città morta che in questo momento è completamente nostra, risvegliata dalle nostre risate. Quei borghesi che scendono in piazza e si tengono per mano e vorrebbero vederci tutti morti. Quei borghesi tanto fieri dei figli che scrivono ACAB, ma vorrebbero vederci tutti dietro alle sbarre, se non morti e che criticano le autorità solo quando vola qualche manganellata di troppo sui loro cuccioli.
Nani e altri prodigi:Un punto saldo della nostra amicizia e delle nostre interminabili discussioni è la fascinazione e ammirazione per gli individui definiti deformi, schifati e compatiti. Noi no. Per noi il nano è un argomento che tocca tradizioni antiche (Bes per gli antichi egizi), la storia dell’arte (i vari nani di Velasquez), il cinema contemporaneo, la commedia, il mondo circense, l’epopea della working class (i nani delle miniere del Belgio e della Francia che ispirarono i personaggi del folklore ritratti anche in Biancaneve che la cancel culture ha tentato di abbattere di recente). Il nano è un individuo nato con forme non semplici e disarmoniche che suda sette camicie per farcela nel mondo degli alti, caparbio e non vittima del nostro mondo.
Il Sancane: I due preziosi tomi scritti da Simone raccolgono personaggi noti solo a chi si interessa di stranezze per lavoro. Chi scrive è fortunato perché con questi eroi sconosciuti, individui geniali, folli e bizzarri, ci lavora da anni. Li ricerca, ci si paga parte dell’usura domestica chiamata affitto suggerendoli a professionisti dell’immagine e della parola. Quando scopro il libro, non conoscendo il blog, mi dico “questo è il libro che avrei dovuto fare io”. Poi lo leggo e tiro un sospiro di sollievo “No, Simone l’ha fatto meglio. Va benissimo così”.
Ridere: Secondo teorie new age non confermate (anche se qualcuno dice di sì), ridere fa bene alla salute e guarisce dalle malattie peggiori. Bene, Simone per me era una medicina. Ogni incontro, ogni messaggio, ogni telefonata portava luce anche nei momenti più atroci dell’esistenza, come di recente, il suo improvviso passaggio al bosco è una delle pagine più tristi del mio diario contemporaneo. Ma dopo aver versato le giuste lacrime, aver preso ispirazione per nuove composizioni, da quello che sento, mi ritrovo a riprendere contatti con tutti i fratelli che frequentavamo assieme regolarmente e il ricordo, le foto, gli aneddoti, si trasformano in risate a crepapelle. Lui vuole così. Lui vuole questo. Lui vuole che non perdiamo mai il sorriso. Quindi per quanto faccia male, malissimo, come dice lui stesso “più fa male più fa ridere”. Missione compiuta.
Saggezza: Ho l’arroganza di dire che con Simone, pur non essendo vicini, ogni contatto ha portato influenze reciproche. Il mio impatto su di lui è stato tecnologico, ed è irrilevante per questo tardo coccodrillo che tento di scrivere da settimane. Il suo è stato fortemente filosofico. Simone mi ha aiutato a capire che perdere o subire una sconfitta, anche dolorosa, è una possibilità di crescita, non un semplice perdere la faccia. Non siamo robocop e prima o poi succede a tutti. La seconda è il concetto di Pietas, da non confondersi con pietismo o culto del debole, parola chiave che da anche un’altra visione del concetto di conflitto.
Viva la Muerte: La nostra ultima telefonata è diversa dal solito. Si parla del progetto su cui lavoriamo con tanti amici vecchi e nuovi. Si parla di nuove tecnologie, digitale, intelligente artificiali, alchimie. Si parla di progetti futuri. Si parla di software video, tecniche di cut-up. Capiamo la stessa lingua, la parliamo perfettamente. Ci intendiamo dello stesso mondo per quanto da prospettive del tutto differenti. Io ossessionato dallo story-telling sonoro e visivo, da lunghi flussi di coscienza, vedo tutto come un eterno piano sequenza che avvolge e soffoca come tentacoli invisibili. Lui è una divinità del taglia e cuci, sorprende, colpisce, distrae, ti colpisce ancora. È bellissimo capire il metodo di lavoro, gli strumenti, completamente differenti se non per il meraviglioso Resolume Arena di cui entrambi siamo feticisti. Simone lavora ancora con una versione antica. Penso di regalargli la mia licenza attuale, ma di colpo il nostro discorso cambia.
Ci raccontiamo le difficoltà che stiamo attraversando e che sono irrilevanti per questa testimonianza, le nostre voci cambiano tono. Abbiamo già parlato tanto di problemi personali negli anni, ma questa volta è diverso. C’è qualcosa che non va. Lo sento. L’ho detto anche a comuni amici che quell’ultimo quarto d’ora mi lascia uno strano senso di disagio. Penso derivi da me stesso che sto affrontando fastidi in via di risoluzione. Ma forse non è quello.
Poi ci riprendiamo. Ci giuriamo di non lasciarci schiacciare dalla vita. Ci giuriamo di stare assieme sino a quando ci sarà da affrontare i veri nemici. Ci giuriamo di rimanere in trincea, insieme a quei quattro, cinque pazzi che sono da sempre fratelli nella vita anche quando distanti e che la sua scomparsa ha riportato nel mio quotidiano… E questo è il regalo più grande che Simone mi ha fatto, insieme alle risate, all’entusiasmo, all’uscire dal guscio di pigrizia sonora in cui mi ero rintanato, insieme a tutti i racconti di nani che abbiamo condiviso.
Grazie Simone. In quella trincea ci sei ancora e non saremo noi a perire perché saremo sempre assieme. – MMLTX
Pura azione!
Quando uscì “Kali Yuga Bizarre” si aprì uno squarcio di innovazione e ferocia senza precedenti nel black metal. La cosa stupefacente era che si trattava di una band italiana, con intere parti cantante e declamate in italiano e un caratteristico gusto melodico. In formazione all’epoca c’erano personalità di altissimo livello, capaci di innestare in un genere ben codificato degli input spiazzanti ma intransigenti, inserendosi con continuità in un filone culturale e musicale che necessitava uno scossone. L’eredità dei norvegesi Mysticum si notava, ma poi si scoprivano devastanti innesti ebm e techno, assalti elettronici dispiegati su una struttura di glaciale black metal militante. All’epoca travolse molti ascoltatori con la sua capacità di ergersi a contro-manifesto scorretto ed esagerato sotto tutti i punti di vista.
Uno dei grandi artefici di quel capitolo fu il geniale Simone “Yorga”. Curioso come la vita alle volte faccia incontrare sotto diverse forme la stessa persona. Con Simone era l’arte a parlare. Un’arte provocatoria, collocata rigorosamente nella prima linea d’assalto, che con impulso futurista si lancia per portare un attacco in profondità alla cultura del nichilismo dominante. Come truppe sbandate e logore, oscuri musicisti conducono una guerriglia in cui ogni risorsa strappata al nemico può trasformarsi in arma. Plasmare nuove armi sonore ed estetiche partendo da quel che si trova, devastare il mondo circostante con atto nichilista attivo, strappando terreno, stringendo la terra tra le dita per contrattaccare con opera di taglia/incolla, deturpando, distorcendo, dissacrando.
Questo almeno è l’approccio nichilista-futurista che sembra aver animato buona parte dell’azione artistica di Simone. Con ZZA Drumo, con Boslide, con le provocazioni culturali a cui ha attivamente partecipato. Diventa sempre più facile offendere, risultare scorretti e, perciò, risultare interessanti e vivi. Ma è sempre più difficile trovare sponde mediatiche, supporto da chi si incarica, con atto censorio, di filtrare ciò che rispetta i canoni socialmente accettabili e cosa no. Ma il rock non era nato per sconvolgere e provocare? Stare dalla stessa parte dei produttori di Hollywood non è un buon segno.
Una vitalità estrema, violenta, ha mosso l’opera di Simone, lasciando il segno in coloro che hanno apprezzato la sua capacità di plasmare a suo piacimento elementi disparati, attraverso campionature estreme, ardite, eppure potenti, brutalmente rivolte a spalancare un abisso di rifiuto goliardico. Sempre col sorriso sulle labbra, ma con l’implacabile determinazione di trovare quel fuoco spirituale che si nasconde all’ombra di detriti e scorie.
L’arte deve essere estrema o non è autentica. Simone era autentico nella sua radicale capacità di mischiare i generi e i piani tematici, rendendo il più fetido grind meccanico il mezzo privilegiato per deridere il buongusto e il buonsenso dei censori di oggi. Un lungo e inesauribile filo nero che si dipana da quel fatidico album degli Aborym e si compie quasi catarticamente con l’ultimo, devastante, vinile Boslide (“metterò la toppa sul giubbino”, disse). Distruggere. E basta. Ridere delle rovine. E poi? Si combatte per il combattimento, non per una ricompensa. Così la musica si fa pura azione.
Dei grandi si parla con grandezza o si tace. Possano i nostri suoni e le nostre parole riverberare la potenza di un grande spirito. – FRANCESCO BOCO