I Kill My Town, Door To Door…
E rieccoci ai quattro scoppioni di Portland che fieramente villosi e villici emergono dalla bruma mefitica delle loro scorreggie e del loro dolce sudore birroso. Terzo album e rituffo deciso nello stoner, dopo la scampagnata rock and roll di Murder The Muntains che non ha convinto proprio fino in fondo, almeno chi scrive. Questo Whales And Leeches con la sua cover che sembra un bolo zoomorfo partorito da Piero Angela dopo una notte di tregenda gastro intestinale, è di sicuro un gran bel disco, fiero, robusto e spaccone, un tantino più aggressivo e tetro dei precedenti, ma ci va bene proprio così.
Dall’avanzata godzillona piena di rancore di Failure (brano preferito dal sottoscritto), al viaggio epico via dalle chiappe dell’oscurità di Dawn Rising, dove bisogna registrare la presenza di Mike Scheidt, singer della doom metal band YOB. Costui stilisticamente fa pensare a una specie di Jorn Lande accoltellato in terra che gorgoglia nel suo stesso sangue. Il cantante arricchisce il brano molto cupo e manicomiale di una luce sozza ma rigenerante che ci conduce direttamente verso le alture progressive meno retoriche degli anni 70. Tené!
Il resto dell’album risulta piuttosto vario: dalle sculettanti carrellate dark-punk di No Hope e Behind The Light, alle divagazioni grunge di Voices Of The Dead e Crows In Swine fino alla psycholalia fiera e spezzona di Every Little Twist, che porta agli ormai irrecuperabili, primi Magnet. Quaranta minuti essenziali che vanno giù come nettare di alce e che durante gli ascolti successivi produrranno echi allucinatori di Entombed, NIN e addirittura King Diamond (il refrain di 1516). Provare per ribattere.
(Francesco Ceccamerla)