Negli anni Ottanta ero particolarmente attratto da quel sottobosco thrash che non aveva alcuna chance di emulare a livello di popolarità i Metallica e i Megadeth, ma che esprimeva una voglia di fare tipica di chi sa già in partenza che nove su dieci resterà al palo, ma ci crede fino alla fine. Sul mio piatto girava a bomba Act Of God degli Znowhite, che ritengo tuttora uno dei vertici thrash di tutti i tempi, soprattutto ma non solo, per la voce così emozionale ed espressiva di Nicole Lee. Rimasi malissimo quando si sciolsero, ma poi mi consolai alla notizia che alcuni di loro si erano radunati sotto un altro moniker, ovvero Cyclone Temple.
Non c’era più Nicole, vero, ma il nuovo singer, Brian Trock aveva la giusta cazzimma e la grinta necessaria, anche se Lee era di un altro pianeta. Debutto di alto livello con I Hate Therefore I Am; intanto perché Ian Tafoya a macinare riff con la chitarra c’era ancora, (anche se qui si fa chiamare Greg Fulton, ovvero il suo nome all’anagrafe) e in più bassista e batterista erano gli stessi di Act Of God.
Aspettative ben ripagate per fortuna. Una premessa: con l’uscita di And Justice For All… molti “landmark” di tecnica e intricatezza erano stati ridefiniti, cosicché ci furono molteplici formazioni che da li ripartirono, cercando di sviluppare quel tipo di sonorità, meno furiose forse, ma egualmente interessanti per il thrash.
E i Cyclone Temple da quel disco presero spunto, in modo personale però. Intanto in questo “I Hate…” si sovrappongono più anime: quella più istintiva e distruttiva del classic thrash, elementi melodici, elementi quasi progressivi e inserti di chitarra acustica, sempre ben centrati e collocati con gusto.
Le canzoni girano benissimo, costruite su velocità e bei riff, ossatura necessaria, in cui la sezione ritmica si esprime e si integra al mood perfettamente. C’è un senso impalpabile, quasi impercettibile di disperazione e malinconia nei pezzi, che grazie alla tonalità acuta e melodica di Trock sembrano ripiegare introspettivamente in sé stessi, interconnettendo le parti in modo ragionatissimo, con potenza e controllo chirurgico; cattivi ma lucidissimi.
Un disco che ha più strati, che allora come oggi necessita di più ascolti per essere colto in tutte le sue sfaccettature. Io lo metto nella mia quaterna di dischi preferiti americani, insieme all’inarrivabile Breaking The Silence degli Heathen , il suddetto Act Of God e Control And Resistance dei Watchtower.
Gusti miei ovviamente, opinabili ci mancherebbe. Dopo questo piccolo capolavoro, incompreso, fuori tempo massimo, poco diffuso, fate voi, la band cambio singer, Sonny D Luca, incidendo un secondo disco nettamente inferiore e trascurabile rispetto al primo. Fui aspramente deluso, e accolsi con un sospiro di sollievo lo scioglimento dei Cyclone Temple. Resta questo grande lavoro, resta la carriera precedente degli Znowhite e sopratutto resta un mondo sotterraneo tutto da riscoprire.
Marco Grosso