Eccomi di nuovo qui. Gira che ti rigira non riesco a liberarmi del mio blog. Ho tentato a più riprese ma è finita sempre allo stesso modo, me che torno qui e scrivo un post ottimista, senza rimpianti e pieno di buoni propositi per il mio futuro di blogger individualista. Anni fa Aldo Mancusi mi affidò il suo Brutal Crush e io chiusi Sdangher! (in piedi solo da un anno) convinto di ritrovarmi per le mani qualcosa di più potente con cui farmi valere e un pubblico più nutrito. Mi sbagliai e dopo alcuni mesi di gestione malriuscita restituii ad Aldo le chiavi del suo blog e ripartii con il mio. Lo scorso anno ho tentato di aprire un blog a due con Marco Benbow, Psycho City, ma anche lì è andato tutto a puttane e nonostante il mio proclama di chiudere Sdangher con un conto alla rovescia di una settimana (ricordate?) ho finito per riprenderlo perché il progetto tandem con il Ben non mi garantiva la stessa libertà di iniziativa. Quando poi è uscito il mio libro sulle riviste metal, i tipi di Metal Hammer mi hanno offerto un bello spazio sulla loro rivista on line. Tutti sanno ormai che le cose non sono andate granché bene nemmeno lì e ora rieccomi qui. E probabilmente stavolta in via definitiva (ahahahahahha). Anni fa credevo che se alcuni dei più brillanti blogger metal avessero unito le forze magari sarebbe nato un Metal Injection italiano. Oggi non la penso più così, sono sicuro che ognuno debba curare il proprio orticello e non strafare. Non è possibile tenere il passo dei blog stranieri: quelli hanno delle redazioni nutrite, mezzi tecnici e abili grafici; ci guadagnano pure qualche soldo. Qui da noi abbiamo sempre avuto il vizio di fare le nozze con i fichi secchi. In Italia, nel giornalismo metal come in molte altre cose speriamo di cavarcela senza avere quattrini da investire, senza un equipaggiamento adatto all’impresa, solo sperando di cavarcela con l’entusiasmo e la buona volontà. Le idee? Talvolta ci sono ma restano in embrione perché occorrono soldi e tempo per svilupparle e renderle grandi.
Credo che una metal horsezine come Sdangher! debba essere il diario fedele di un pugno di pazzoidi e che ne racconti la vita, il rapporto con la musica, le idiosincrasie, le scoperte, le delusioni, i ricordi. Seguiamo le uscite discografiche ma non con l’attitudine sterile da archivistica spinta delle webzines. Se un disco è abbastanza buono da segnalarlo ai nostri simili lo facciamo, se fa così schifo da sviluppare dei concetti intriganti, pure. Magari qualcuno si rispecchia e i lettori finiscono per passare a trovarci, giusto per sapere come ce la passiamo qui nella scuderia, come gli va a dei cavalli metallari tipo noi: sentito niente di fico? Capitato qualcosa di interessante? Saputo niente di quello che sta succedendo?
Confronto più che altro. Noi vi diciamo la nostra e voi magari ci fate sapere se siete d’accordo o no. Non ci mettiamo su un piedistallo, vantando chissà quale espertudine (oggi, con internet nessuno è più credibile come sapientone) e non vi lessiamo i testicoli con dei moralismi da parrocchia anni 80. Ovviamente io la mia ve la dico in tutta sincerità. Non c’è amico che valga la mia libertà d’opinione e se uno è un amico deve sopportarlo o tanti saluti. Nell’ambiente metallaro ci sono moltissimi amici, pochi nemici e un oceano di leccaculo che se faceste la sottrazione con la quantità di amici uscirebbe tre o al massimo cinque. Gli amici parlano bene degli amici e male dei nemici. Se parlate male di un amico solo per rispetto alla vostra onestà intellettuale o magari perché il vostro blog ha un disperato bisogno di visite, lui diventa un nemico. Neanche aspettate a scoprirlo. Date per scontato che se ha letto la vostra tiepida recensione al suo disco o peggio, se non la legge perché non vi siete mai decisi a scriverla visto lo scarso interesse che nutrite per le sue creazioni, non vi parlerà più. Di solito è così. Supporto o morte.
Io credo che il vero cancro di questa scena sia l’incapacità di esprimere liberamente le proprie idee ed essere critici con le cose che non ci piacciono. Qui a Sdangher c’è una regola, al proposito. Se sentite che è meglio evitare di scrivere qualcosa che però pensate, che dentro di voi continua a bruciare, allora scrivetela e fanculo il mondo. Satana è cambiamento e come sanno i più fedeli lettori tra voi, chi vi scrive è satanista, quindi, viva il caos che spazza via un vetusto vecchio ordine e ne stabilisce uno nuovo, che sarà spazzato via appena possibile. La maschera da cavallo è un simbolo profondamente individualista di questo cambiamento. Provate a comprarne una e quando la vostra vita sembra non andare più avanti o indietro, indossatela e uscite. Siate certi che qualcosa cambierà. Io la indosso per scrivere. A volte fatico a resistere con la maschera addosso, fatico a respirare ma non importa. In fondo è un meccanismo simile a quello degli Gwar o degli Slipknot. Con le maschere entravano in ruoli superumani e si sentivano abbastanza liberi e potenti da dire ciò che andava detto.
Sono due settimane che lavoro, sapete? Dico un lavoro vero. In pratica sto ancora imparando ma so che mi pagheranno e quindi, gente, ho un lavoro. C’è una retribuzione, anche se in questo momento faccio da assistente a un conducente e il momento in cui io potrò svolgerlo da solo sembra ancora lontano. Sto imparando i giri. Si tratta di quattro ore di viaggio circa su una distanza complessiva di 300 kilometri. Vai e consegni delle cassette di plastica con dentro varie vaschette di ciccia. Ogni genere di ciccia: pollo, manzo, pecora. Oltre alle vaschette abbiamo anche dei quarti belli grossi da 60-80 chili. Quelli si devono liberare dagli uncini e mettere in spalla, prendendoli a modo, altrimenti il rischio di farsi male è alto. I macellai nelle botteghe non escono ad aiutare. L’autista fa da solo e vi assicuro che non è una passeggiata. Mi ricorda quando mettevo in spalla la cassa da morto con il morto dentro. Non da solo, scemi, eravamo in quattro. Scendevamo giù per lunghe rampe di scale, magari a chiocciola, con 70 chili per uno tra scapola e collo se il defunto seguiva una dieta ipocalorica. Con i quarti non è tanto diverso ma sei solo. Per farvi capire, è lo stesso lavoro che fa Lips degli Anvil. Si vede nel documentario sulla band, ricordate? Gira con un furgoncino e consegna la carne. Ecco, ho trovato quel lavoro lì, direi che è abbastanza metal per i miei gusti: sangue, carne a pezzi, uno stereo con ingresso USB dove sentire gli album che poi magari recensirò qui. Cazzo, si può fare.
I miei problemi sono due, però. Il primo è che non ricordo facilmente le strade e gli itinerari, specie a Civitavecchia e a Roma sono molto complicati da mandare a memoria. C’è il navigatore, ok, ma il tipo che mi sta facendo l’affiancamento dice che è meglio allenare il cervello e non affidarsi completamente a una diavoleria tecnologica che magari un giorno può non funzionare bene. Se succede non puoi rimandare le consegne a quando hai risolto il guasto tecnico, devi cavartela lo stesso perché è tassativo come l’Inferno, la ciccia deve andare nei negozi. Anche con la neve, il ghiaccio, la pioggia e la febbre a 40 o un dolore massacrante alla spalla per aver tirato giù male una pera (si dice così la coscia di un manzo) da 60 chili. Il secondo problema è la guida del furgone. In pratica è come portare la macchina ma non ho lo specchietto retrovisore centrale, solo quelli laterali. Guidarlo non è difficile, anche se i trabiccoli che usiamo non sono nuovissimi. C’è uno con lo specchietto rotto a destra e un altro con lo sterzo difettoso. A sentire le storie che mi raccontano, i miei colleghi sono stati costretti a portare la carne anche con mezzi senza freni funzionanti. Le manovre già non sono semplici per chi non ha dimestichezza, figurarsi se il mezzo non ha tutti gli specchietti o magari il cambio da interpretare come muoverlo a seconda dell’umidità.
Inoltre si tratta di un lavoro in cui è necessaria la concentrazione e io sono uno che si distrae facile. Già immagino i casini che farò e ovviamente ve ne renderò partecipi. I nuovi ritmi imposti dal lavoro mi stanno creando inoltre qualche problema a casa. Mi sveglio tutte le mattine, dal lunedì al sabato, alle 4 circa. Faccio 30 kilometri fino al magazzino e da lì parto con il collega. Di solito finiamo per l’ora di pranzo. Torno a casa e provo a recuperare qualche ora di sonno, dopo mangiato. Utopia. Mi sveglio dopo due o tre ore più svogliato e intontito di quando mi sono messo a letto, non ho voglia di far nulla. Mi sforzo di andare in palestra, di leggere e scrivere ma fatico a concentrarmi. Nulla di grave, intendiamoci. Meglio ora di quando ero disoccupato e avevo tempo ed energie per litigare con mia moglie e sgridare le bambine perché erano vivaci come delle bambine dovrebbero esserlo alla loro età? Ora parlo poco e mi limito a sbuffare. Non so se è peggio. Magari no.
Che altro mi è capitato di recente? Ah, ho litigato con Marco Benbow. Fine di un’amicizia. Va anche lui ad aggiungere alla lista di ex nati e defunti qui su facebook. Rispetto ai vari Biani, Di Leo, Carli, Adrower, Mancusi, Manno, Baro, stavolta avrei potuto evitarlo con mesi di anticipo. Ho gestito male io la faccenda. Ho evitato il confronto quando era giusto averlo e ho aspettato troppo per tornare a cercar lui e fargli le condoglianze per la morte del padre. Figuratevi che gli ho anche proposto di venire a Metal Hammer il giorno prima che mi sfanculassero, ma va beh, non potevo immaginarlo. Dato che per Marco non c’era più alcun presupposto di chiarimento gli ho levato l’amicizia su facebook e basta. Ogni tanto lo faccio anche io. E banno pure, se mi girano tosto. Lui ha ritenuto opportuno toglierla a mia moglie. Io ora dovrei levarla alla sua se lei già non l’ha fatto, non so. Ti prego Silvia, tieniti fuori da questo casino assurdo, almeno tu. Mi spiace che sia finita così e come penso sempre in questi casi: se ci fossimo frequentati sul serio, carne a carne, non avremmo mai mandato tutto a puttane così. Facebook rende facili le aggregazioni e ancora più semplici le rotture. Quando ho incontrato Marco, per la prima e ultima volta, l’ho trovato una delle persone più dolci e gentili che avessi mai visto. Esprimeva le sue idee con decisione ma non mi suonava nel cervello quel tono bacchettone e talvolta monastico dei suoi articoli o dei post. Leggetevi quello che ha scritto riguardo la bestemmia di Nergal e poi ditemi. Gli ho scritto una settimana fa. Mi mancava e volevo dirglielo, solo che l’ho fatto nel peggior modo possibile, chiedendogli se si univa a me nella redazione di Metal Hammer. Magari io e lui insieme sotto quel monicker avremmo fatto una strage. Sapevo che mi avrebbe detto no, non sono così scemo da sperare il contrario ma sentivo di doverglielo chiedere. Gli voglio bene, a Marco, anche adesso, che lui ci creda o no. Capisco che tra noi ci sia stata una rottura profonda e non farò più nulla per ripararla con la colla scadente della mia retorica o dei miei falsi buoni propositi. Confermo la stima che ho per lui come scrittore di cinema e di musica, meno quella del bastiancontrario allergico ai dibattiti e le discussioni, ma questo è un altro discorso. Ho sempre sostenuto le sue posizioni perché adoro chi la pensa diverso da me e sa argomentare fino quasi a farmi venire dei dubbi sulle idee che ho io. I suoi pezzi sono sempre di alta qualità, se mai decidesse di tornare a scrivere di musica sul suo blog personale, andate a leggervelo. Non sarete mai d’accordo con i suoi gusti. Marco è capace di scrivere un articolo esaltato sul disco più moscio dei Silent Rage ma non potrete mai mettere in dubbio la sua passione, quella è autentica e sa come trasmetterla.
Marco è stato uno sdanghero per alcuni anni e sono orgoglioso di aver pubblicato qui alcuni dei suoi migliori pezzi. Ormai sono andati perduti come tutto il contenuto di Sdangher 1.0. Altervista ce l’ha messo al culo per bene. Sarà contento il geovese ma mai quanto io per le sue recenti vicissitudini sentimentali. Abbiamo tentato un recupero ma sembra impossibile. Dovete accontentarvi del ricordo. Se ritrovo qualcosa sul mio database e rileggendola mi sembra ancora valida e pubblicabile ve la ripropongo, altrimenti niente.
Per ora abbiamo finito, manzi d’allevamento che non siete altro. Sto venendo a prendervi. Godetevi questa domenica nuvolosa e tenete duro, la primavera è alle porte e con essa le allergie.
Parola di Padrecavallo.