Apollyon Sun – Figli di un dio meccatronico

Non lo nascondo, considero Tom Gabriel Warrior un piccolo genio, capace di infondere il suo personale tocco musicale e concettuale a tutto quello che fa, sapendo spaziare in diversi ambiti con grandissima personalità. Hellhammer, Triptykon e Celtic Frost sono tre tentacoli diversi e contigui di una piovra che ondeggia fiera nell’oceano sonoro, ma molti si dimenticano che tale creatura ha una quarta protuberanza sintetica, che si affianca a quelle naturali. Si tratta del progetto Apollyon Sun, nato e sviluppatosi dopo il break up dei Celtic Frost all’indomani di Vanity/Nemesis, che rimescola ancora una volta tutte la carte, confermando la certezza che Warrior non ha mai fatto e non farà mai due album uguali l’uno all’altro.

Vi risparmio la solita manfrina didascalica e monografica sul progetto, avete sul web tutti i mezzi per trovarla. Vorrei piuttosto soffermarmi sulla grande bellezza e originalità di questi dischi nati e cullati nell’alveo dell’industrial metal, assorbendo la linfa strutturale dei nomi storici (Die Krupps, Laibach, Nine Inch Nails, Ministry, Godflesh), germogliando nuovi rami creativi, come sempre accostabili a nessuno se non a lui stesso.

A mio avviso il vertice si trova nell’album Sub del 1995, che partendo da basi prettamente industriali ovvero chitarre e bassi ultra distorti, voci filtrate, batterie minimali, incorpora un sacco di elementi aggiuntivi, come il trip hop di Massive Attack e Tricky, le tastiere cibernetico-futuriste dei Fear Factory, aperture ambient e drum’n’bass, persino rade vocals femminili e rallentamenti doom, ovviamenti trasfigurati in chiave industrial.

Questo disco è molto eterogeneo, fatto di mille dischi diversi mescolati, ma nella sua caotica e schizofrenica andatura ha una sua logica e ascoltandolo bene la si coglie appieno. Forse proprio qui negli Apollyon Sun, con uno sforzo immaginativo, si può carpire la similitudine visionaria di Giger  trasformata in musica, molto più aderente all’espressione sonora che non nei Celtic Frost.

Mai come in un lavoro come Sub, Warrior si addentra nel cuore di titanio, acciaio e polimeri rivestito di malinconica e gelida desolazione dell’anima, che rimanda a claustrofobici sentimenti di strazio; tra i paesaggi metafisici di De Chirico, le visioni care al concetto di “cadavre exquis” surrealista, lo “stream” digitale e binario dei dati che deumanizzano l’uomo, fino a renderlo un automa, per poi redimerlo e ricrearlo in una nuova forma senziente.

L’ascolto dell’album presuppone che ci si voglia lasciare perdere nel terrore e nell’incoscienza di sapere da dove si parte senza sapere dove si arriverà. Tom Warrior non sarà mai glorificato abbastanza per quello che al di fuori del canome metal ha saputo generare, forse con più forza e ispirazione, perché non si è mai autoimposto un recinto stilistico.

In questo modo ha potuto esplorare davvero la profondità della coscienza, e se lo vogliamo, espandere anche la nostra. Il progetto Apollyon Sun ha solo un difetto: come tutte le creature di Fischer, dopo aver brillato come una supernova per pochi attimi, si spegne per generare altre stelle e pianeti. Trovo molto lodevole questa filosofia, che applico sempre in quello che faccio anche io.

La serialità prolungata nel tempo uccide la creatività, ogni espressione artistica deve avere un inizio e una fine ben definita e breve. Altrimenti la scintilla si spegne, e restano solo braci e carboni. Dobbiamo essere grati per questa manciata di lavori, riscoprirli e goderne, perché tutto scorre, ma la buona musica resta senza tempo.

Marco Grosso