Da Uno si evolve in Trino, e da Trino torna a conoscere il suo oscuro e primordiale Uno. Un flusso inarrestabile e tumultuoso di creazione, di visioni ardenti e di un sangue che scorre come un fiume di destino condiviso. È un connubio denso di linfe verdastre e acri, che si snoda attraverso l’oscurità e la luce, un riconoscere e un adorare la prima divinità che si manifestò dinanzi a loro, l’essenza che emergeva dalle tenebre del tempo. Questa entità, che dimorava nelle profondità da cui essi traggono la propria esistenza, si nutriva dei frutti segreti di una terra bagnata da lacrime e speranze. Essi, figli della medesima terra, avvertivano, in ogni fibra del loro essere, il richiamo dell’antico, un sussurro che si perdeva nei meandri della memoria e del cuore. In quella divinità trovavano non solo la loro origine, ma anche il riflesso della loro lotta, della loro solitudine, immersi in un mare di intensa malinconia.
La sua presenza, grande e terribile, li circondava, come un abbraccio carico di passione e dolore, eredità di un’umanità che ha sempre cercato la luce nel buio. Così, in questo eterno ciclo di vita e morte, l’incessante danza fra Uno e Trino svela la verità dell’esistenza: la bellezza e il tormento, l’unione e la frattura, tessuti insieme in un arazzo di vita, finito e infinito.
Questa è la mia visione sulla genesi spirituale e musicale di quella che negli anni Novanta diede vita alla Trimurti gotica inglese, ovvero My Dying Bride, Anathema e Paradise Lost, generati e non creati dalla stessa sostanza del Padre. Ovvero i Depeche Mode.
Una connessione non solo auditiva, ma anche simbolica e nazionale, unisce i Depeche Mode e le tre band gothic metal. La comune origine britannica pulsa nel cuore dei loro lavori, influenzati dalla ricca tradizione gotica della loro patria, un’esplorazione del buio e della luce, della perdita e del desiderio di redenzione.
Una delle connessioni tra i Depeche Mode e il gothic metal inglese può essere interpretata come una risposta estetica e filosofica alle turbolenze di un mondo sempre più globalizzato e tecnologicamente avanzato. In una società che si allontana dai valori tradizionali, la musica diventa un rifugio emotivo, un luogo dove esplorare il dolore e cercare un conforto spirituale.
Il lutto, l’alienazione e la ricerca della consolazione sono temi ricorrenti che trovano espressione sia nell’elettronica simbolistica dei Depeche Mode che nel ferale lamento delle chitarre e delle litanie cineree delle Tre Parche Gotiche. I temi simbolici, le influenze nazionali e l’impatto culturale li uniscono. La capacità di questi musicisti di trascendere il loro momento storico e confluire in una tradizione gotica di origine culturale senza tempo è un omaggio alla potenza della musica, come mezzo di esplorazione e scoperta emotiva.
Con un lascito che continuerà a riecheggiare attraverso generazioni successive, essi rappresentano non solo una fusione di suoni, ma una connessione intrinseca tra le oscurità e le luci dell’esistenza, muovendosi sottilmente tra le fessure in penombra che minano la perfetta simmetria. Il gotico ottocentesco, come illustrato da autori come Mary Shelley e le sue riflessioni sulla creazione e sull’orrore in Frankenstein, esplora il concetto di sublime.
La paura e il meraviglioso si intrecciano per formare una bellezza complessa, che è insieme affascinante e terrificante. Il concetto di sublime si ritrova in molte delle composizioni dei Depeche Mode, le cui melodie, spesso malinconiche, sono accompagnate da testi che parlano di desideri, mancanze e conflitti interiori, esempio emblematico è Personal Jesus, dove la ricerca di connessione, di un “salvatore” in un mondo alienante, si colora di un’intensa bellezza amara.
In The Fall of the House of Usher, Poe esprime un’estetica del decadimento e della disperazione che riecheggia nei testi dei Paradise Lost. La loro canzone Isolate richiama l’idea dell’isolamento e della follia, riflettendo in modo fedele l’angoscia presente nelle opere di Poe, dove l’ambiente, con le sue architetture fatiscenti e i paesaggi inquieti, diventa un prolungamento dell’animo umano.
La malinconia rappresenta un filo conduttore potente sia nella poesia gotica che nella musica contemporanea. Christina Rossetti, in particolare nella sua opera In the Bleak Midwinter, si evidenzia un dualismo tra il sacro e il profano, una lotta interiore che ricorda i testi degli Anathema in A Simple Mistake, dove l’illusione e la delusione si fondono in una riflessione malinconica sulla vita e sull’amore.
Emily Dickinson, con i suoi versi scissi e crudi, evoca una profonda contemplazione sulla morte e sull’inevitabilità della fine. Nel suo poema I heard a Fly buzz – when I died, la presenza di un insetto diventa simbolo della vita che continua anche di fronte alla morte.
I My Dying Bride, in brani come The Bride, affrontano il dolore e la morte con un lirismo che ricorda l’intensità dei versi Dickinsoniani, dove il sentimento di perdita diventa una potente fonte di creatività e di riflessione.
Un altro tema centrale della poesia gotica è la questione dell’identità e della dualità dell’essere. Il Dr. Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson illustra una frattura nell’identità umana che risuona con le lotte interne espresse nella musica dei Depeche Mode. La canzone I Feel You, ad esempio, esplora il conflitto tra desiderio e paura, luce e oscurità, riflettendo su come i lati diversi della nostra identità possano lottare tra di loro.
Nelle liriche dei Paradise Lost, il concetto di perdita dell’innocenza — un tema onnipresente nella poesia gotica, come in The Lamb di William Blake, che contrasta con The Tyger — viene esplorato attraverso la lente della fragilità umana e della desolazione.
I testi di The Last Time, ad esempio, parlano di cicli di amore e dolore che rispecchiano la complessità delle relazioni umane, simili agli interrogativi esistenziali posti nella poesia di Blake. Un elemento costante nella poesia gotica è l’uso della natura e del soprannaturale come riflettori delle emozioni umane.
Le opere di poeti come John Keats e il suo La Belle Dame sans Merci sono intrise di una meraviglia immaginifica e di una sensibilità al dolore amoroso che possono essere messi in parallelo con i brani degli Anathema, in particolare Untouchable, Part 1, dove la natura diventa un simbolo di trascendenza e, al tempo stesso, di vulnerabilità.
La canzone The Cry of Mankind dei My Dying Bride incarnano un’autenticità cruda simile alla vena romantica di Keats, in quanto entrambi avvertono un forte legame tra l’uomo e la natura, che serve come specchio delle sue angosce e dei suoi desideri. Qui, il rapporto tra l’essere umano e il divino, o il soprannaturale, è fortemente evocativo e risulta in un’esperienza di condivisione di dolore e bellezza.
La filosofia esistenzialista, che si concentra sull’individuo e le sue scelte, è un filo conduttore sia nella poesia gotica che nella musica contemporanea. Pensatori come Kierkegaard e Nietzsche hanno affrontato il concetto di “angustia” e “decadenza”, idee che si riflettono facilmente nei testi di band come My Dying Bride, dove la ricerca della verità e della propria esistenza è centrale. Le loro liriche vuotano l’anima, rivelando una fragilità evocativa e la ricerca di senso in un mondo caotico.
Nei Depeche Mode, possiamo vedere una simile influenza con Strangelove, dove partire da un amore conflittuale diventa una metafora della ricerca di autenticità. La loro musica diventa un’esplorazione della condizione umana, sfidando l’ascoltatore a confrontarsi con le proprie verità interiori. Ancora una volta, e sempre sia così, l’interconnessione più profonda tra le cose si manifesta, sia essa nel mondo della luce che in quello del buio, attraverso linguaggi diversi e sentimenti comuni.
Marco Grosso