Mio zio era speciale, ma non per i motivi che “benpensate” voi!

Se me ne fregasse qualcosa di divulgare un’uscita discografica di qualunque tipo o di consigliare a chi legge una qualsiasi band a scelta di lor signori, allora scriverei (ipoteticamente perché non mi prenderebbero mai) su una patinata rivista musicale da edicola che costa 20 CHF con allegato un  CD compilation delle ultime uscite power-merdal della Cambogia, oppure su un qualche metal blog di merda dedicato a recensire il trentaseiesimo album in studio dei Merdallica featuring “Peruviano col flauto di Pan davanti alla Coop”, o della re-re-re-re-reunion degli Scrotorpions.Io ho comprato questo disco, io l’ho ascoltato e sempre io ho goduto del sistematico genocidio dei miei padiglioni auricolari, e per me tanto basta. Per quale cazzo di motivo ne scrivo, allora? Perché mi andava di farlo, ne avevo bisogno.

Non vi parlerò di come suona, né in quale genere si inserisce e nemmeno farò sproloqui del cazzo sulle sue influenze; nella musica o nell’arte di queste cose me ne sbatto. Vi racconterò cos’è PER ME questo disco, e se, anche non avendo idea di chi diavolo io sia, ve ne frega qualcosa, andate avanti a leggere, in caso contrario, saluti e vaffanculo.

Ho vissuto l’infanzia e l’adolescenza con mia nonna e mio zio, suo figlio, nella stessa casa. Io e lui avevamo un rapporto speciale, innanzitutto perché aveva 35/40 anni ma ragionava come me che ne avevo 10 (la chiamavano paralisi cerebrale ma che cazzo ne sapevo da bambino, a me faceva ridere e tanto bastava) e riusciva a far incazzare gli altri quasi quanto me. Era tutto storto, in sedia a rotello e amava, anzi vista la sua mente diciamo piuttosto che era ossessionato da tre cose: la musica, le macchine d’epoca e le donne: Era il mio eroe.

Ho un milione di ricordi che mi tengo stretti ora che è morto, ma quelli sono cazzi miei. Gli aneddoti pertinenti sono altri: quando veniva a trovarci qualcuno era sempre un gran ridere.
Il palese disagio negli occhi dei visitatori, quella schifosa pietà nello stringergli la mano, quelle parole dette e non dette tipo: che caro, oh poverino..ecc, quel timore reverenziale nel dire le parole sbagliate e magari, diociperdoni, offenderlo. E a culmine di quella pantomima ecco che lanciavo un bel “alza quel culo e corri a prendermi un panino” e tutti i presenti con gli occhi sbigottiti e offesi (nella loro moralità) lo guardavano increduli partire con una risata rauca e sguaiata, ma dolorosamente vera.

E quando tirava pugni e graffi all’infermiera portoricana dell’istituto dove stava negli ultimi tempi, perché lo chiamava col nome sbagliato e non lo lasciava torturare la sua chitarra tutta la notte? Poverino, è disabile non si può fargliene una colpa, ma ci sono delle regole,no?

No cazzo, era uno stupendo ed enorme VAFFANCULO urlato nell’unico modo in cui poteva urlarlo. Era un disperato tentativo di ribellarsi alla sua gabbia di pietà, commiserazione e infermieri del cazzo.

E quando suonava, quello sì che era un inno all’anarchia, al menefreghismo e alla libertà. A livello di attitudine per me è sempre stato la versione paraplegica di GG Allin.

Faceva rumore con le dita storte e contorte su una chitarra scordata, ci urlava e strepitava sopra parole inventate sul momento, estrapolate un po’ da vecchie canzoni popolari e mischiate con le sue personali fantasie platoniche ed erotiche che non avrebbero mai potuto avverarsi. Dopo poco, la gente non ne poteva più, e gli intimavano gentilmente di cambiare attività.

Allora lui si incazzava e gridava ancora più forte. Non gliele fregava niente di dare fastidio, quella era la sua musica, la sua arte, ed era la migliore del mondo. Superata qualche ora di jam interminabili e inascoltabili glielo dicevo che aveva rotto il cazzo, lui rideva e ci registravamo da capo! Se ne fotteva pure di me.

Non ha mai avuto le parole per dirlo ma lo sapevo che il nostro legame era così forte perché ero l’unico che lo capiva davvero; con le azioni non con le parole. Ero il solo che capiva la sua voglia mai dichiarata di rivalsa su un mondo che con la perversione della moralità e del politicamente corretto gli ha tolto la possibilità di essere incazzato, (perché i disabili sono sempre felici no?) , di essere stronzo (ma no poverino non è colpa sua), di essere allupato e tutte quelle cose che ci rendono così schifosamente umani.

In modo diverso mandavamo affanculo insieme questo modo di vedere il mondo. La sua risata sguaiata dopo un mio insulto davanti a tutti serviva a questo.  Non dimenticherò mai quell’enorme “porcodio” urlato mentre si stava registrando e qualcuno gli tolse la chitarra per fargli fare qualcosa d’altro; lui che si incazzava, ma volgare non era quasi mai.

Poi un giorno è morto, vita troia, qualche mese prima che nascesse mia figlia. Alla sua veglia, sotto lo stesso odiato sguardo dei compassionevoli presenti mi sono aperto una birra, la stessa che bevevamo di nascosto, lui con la cannuccia. Non credo in niente, ma un ultimo sputo in faccia a quegli stronzi mi sembrava d’obbligo.

“Asphyxia Apotheose” dei PISSOIR ROUGE non c’entra un cazzo con questa storia, non per voi. Per voi è un album di nauseabondo Harsh noise e Power electronics: urla aliene, rumori da enfisema e stupro auricolare.

Per me è diverso. Per me questo album è dolore puro, nudo e sincero. È uno dei tributi che regalo a una persona che ho amato come poche altre. Lui ha combattuto una vita intera da una sedia con le ruote per rivendicare la sua voglia di essere umano,  la purezza di uno sputo in faccia alla sua società, alla sua gabbia, alla sua normalità che non era abbastanza. Questo album è la sua risata sporca, sguaiata e piena di catarro, è il suo pugno all’infermiera e il suo porcodio carico di rabbia.

Il mondo non ha perso un cazzo e nemmeno voialtri. Il mio mondo ha perso una enorme fetta di brutale verità. Per fortuna ho le nostre registrazioni e l’arte di album come questo che mi ricordano ogni giorno cosa devo odiare, a chi sputare in faccia, come e di cosa continuare a  ridere rozzamente e per cosa vale la pena brindare.

(Ste)