1998-2002
Al tempo di Chemical Wedding Bruce aveva capito la lezione. Durante le interviste promozionali al nuovo album i giornalisti gli domandavano sulla vecchia band ma lui rispondeva che la sua carriera solista sarebbe stata la sola cosa a cui pensare, e che la via migliore per vivere felici era pensare al proprio lavoro e non ficcare il naso in quello degli altri!
Del resto i risultati erano sotto gli occhi di tutti, non c’era più bisogno di far provocazioni e sfottò a distanza: i Maiden erano ormai una cosa penosa, il nuovo Virtual XI vendeva praticamente solo in Italia e in Indonesia, mentre lui, Bruce, ormai aveva trovato la strada giusta per dimostrare al mondo che non era stato un coglione ad andarsene per i fatti propri.
Al tempo di Skunkworks, e questo lo sanno in pochi, Dickinson era passato dai proclama di capeggiare in una vera band (gli Skunkworks, appunto) destinata a far parlare molto di se stessa in futuro, era passato dalle entusiastiche storielle sulla sua esperienza con Jack Endino, al pensiero, proprio dopo i fischi italiani durante la serata con gli Helloween, di essere in dirittura di arrivo, chiudere la sua carriera musicale e fare altro. Magari il pilota di aerei.
Anche Steve Harris aveva pensato di sciogliere la band, ma non nel 1998, all’indomani dalle pessime vendite di Virtual XI. No, era quasi convinto di chiuderla lì nel 1993, subito dopo aver sentito dire a Bruce, quello che temeva da tempo ma che si sarebbe aspettato qualche anno più in là, chissà perché. Furono Janick, Nicko e Dave a convincerlo a non mollare, cercare un nuovo cantante e rimettere in funzione la bestia.
Sappiamo come andarono le cose: Blaze, The X Factor eccetera. E siamo tutti informati anche sull’avvio molto chiassoso ma poco soddisfacente di Bruce da solista. Balls To Picasso era tutto e niente, Skunkworks si rivelò qualitativamente superiore e lucido ma troppo distante dal metal. Dickinson aveva bisogno del metal almeno quanto il metal aveva bisogno di Dickinson, e non è un caso che il suo vero trionfo sia cominciato con Accident Of Birth e poi Chimical Wedding.
Nel 1998, probabilmente, se la EMI non avesse dato l’altolà, Harris avrebbe fatto almeno un altro disco assieme a Blaze. Alcune canzoni erano già pronte, ma l’etichetta non aveva per niente voglia di investire un giorno di più su quel cantante, sempre più grasso, sempre più pelato e sempre più incapace di tenere il passo dei lunghi tour, costretto a farsi di estrogeni per potenziare una voce ormai al limite.
Si iniziò quindi a lavorare per riportare Bruce a casa e la faccenda in effetti fu meno complicata di quanto potesse sembrare a Steve, al mondo e in fondo, a Dickinson stesso. Tra i due ex-comprimari era palese che non ci fosse una grande amicizia (Mick Wall assicurava che non c’era mai stata) ma Steve pensava che Dickinson desiderasse tenersi la sua libertà, continuare con le sue sperimentazioni e non di tornare sul carrozzone dei Maiden. Credeva che della band non gliene fregasse più un fico. Ma si sbagliava.
Di contro sembra che anche Nicko, Dave e Janick non fossero più tanto contenti di avere Blaze in formazione. E voci di corridoio, più nelle vicinanze dei gabinetti, dicono che i tre presero da parte Steve per intimargli che la questione era “o loro o lui!”.
Quindi ciao Bayley e bentornato Bruce.
Nessuno ebbe il coraggio di dire al poveretto che era finita. Ci pensò, come ogni volta che si doveva spostare la merda a mani nude, Ron Smallwood, il quale fissò Blaze e gli dichiarò che “si era pensato” di riallacciare con Bruce.
Bayley era il silurato ma nel fondo di se stesso, si sentiva ancora così fan della band, da esclamare quello che poi avremmo urlato tutti quanto, a milioni, dopo di lui, in tutto il mondo globalizzato: “Torna Bruce? Cazzo, dimmi che è vero???”
Dickinson mise sul tavolo una serie di condizioni: continuare a fare album solisti; avere Adrian (Smith) in formazione; coinvolgere un produttore in gamba, registrare altrove e non nello studio di Harris; e soprattutto niente nostalgie. Se lui tornava, assicurò agli altri, sarebbe stato per condurre la band in avanti, da qualche parte, verso dei rischi e delle cose diverse.
Steve disse sì e sì, sì e sì e intanto avrà pensato: “ma che gran figlio di puttana bastardo pezzo di m…” Non mandò però via Janick. E non solo perché era il buffone sul palco e somigliava pure a Eddie senza scomodare l’Industrial Light And Magic: Gers era soprattutto uno dei principali compositori dei Maiden dal 1992. Averlo in formazione era necessario. Punto.
La notizia fu una gran botta di ottimismo per tutti i fan. Non era chiaro come la band avrebbe gestito la storia dei tre chitarristi ma sembrava il lieto fine che tutti stavano aspettando. E nel 1999 la band partì subito per un mini-tour di supporto al videogame Ed Hunter, che era una schifezza di gioco, ma avrebbe permesso non solo alla gente di rivedere Bruce e Adrian con i Maiden ma anche di sentire una scaletta di vecchi pezzi, inclusi brani che da tempo non erano portate dal vivo dalla band: Phantom Of The Opera e Powerslave, per dire.
Bisogna fare una piccola parentesi sull’attitudine futurista dei Maiden. La band è sempre stata accusata di immobilismo se non di vera e propria morte vivente sul piano creativo, ma a livello di testi e sul discorso visivo e promozionale, bisogna ammettere che Steve Harris non ha mai avuto paura di pasticciare con le novità tecnologiche.
Alcuni dei video dal 1995 in poi sono stati fatti usando a manetta la computer grafica. Le tematiche si sono spesso mosse verso la realtà virtuale, internet e il cyberspazio. Poi c’è stata la prima intervista in rete nel 1996 e il videogioco nel 99. Anche la realizzazione dell’Eddie, a partire dal tour di The X Factor in poi, era sempre più una roba all’avanguardia in termini di tecnologia ed effetti speciali.
Insomma, gli Iron Maiden hanno lasciato le chitarre ferme sulle solite cavalcate ma a modo loro, da matusa curiosi, si sono spinti avanti in altri frangenti della loro creatività, con risultati per lo più… pacchiani, va beh.
L’album del ritorno, Brave New World, è il disco preferito di un sacco di gente che oggi ha 30 anni e da allora sta in fissa con gli Iron Maiden. Probabilmente è l’ultimo vero grande titolo capace di provocare un vero risciacquo generazionale.
Vero, ancora ci sono i pischelli che sentono i dischi della band ma il grosso dei nuovi fans è giunto con l’album della reunion.

Brave New World vede di nuovo Derek Riggs a disegnare la copertina, cosa che non succedeva dai primi anni 90, e poi segna l’arrivo di un nuovo produttore, da affiancare a Steve Harris: Kevin Shirley, che nel 2000 ha quarant’anni, come più o meno la band. È del Sud Africa, e ha una grande esperienza che va dai Deep Purple agli Aerosmith e i Dream Theater e Pupo. (Uno di questi nomi non è vero)
Non tutti hanno presente però che anche in The X Factor e Virtual XI, Harris aveva un producer al fianco: Nigel Green, il quale a detta di Steve, era stato coinvolto per dare al gruppo un aggiornamento su ciò che andava o non andava tra i ggggiovani riguardo i suoni di chitarra e di batteria.
Quindi la colpa è di Green. Nel 1995 probabilmente costui aveva in testa la de-metallizzazione generale e quindi deve aver convinto Harris ad alleggerire la distorsione delle chitarre e bandire le armonizzazioni. E l’hanno pure pagato bene, credo, oltre ad avergli dato retta! E l’hanno richiamato due volte. Ma lasciamo perdere.
Brave New World in parte è nato rielaborando del materiale già realizzato per il successore di Virtual XI. Per Dickinson però non è stato un problema cantare le linee vocali perché in pratica la band non si era mossa di una ottava dai tempi in cui lui era uscito.
In effetti, quando il gruppo mollò Di’Anno e prese The Sirenetto, lo stile cambiò subito.I Maiden divennero molto più epici, più progressivi e tirarono fuori, grazie all’ugola potente di Bruce Bruce, tutta una serie di nuove melodie altissime ed esasperate, mettendo da parte la componente punkettona che veniva così bene grazie all’apporto di Paul.
All’arrivo di Blaze non è che il gruppo si assestò sulle caratteristiche vocali del nuovo cantante e divenne più doomy, per niente. Le linee erano quelle che avrebbe potuto cantare ancora solo Dickinson senza farsi venire un’ernia. E Bayley quasi ci perse la voce, su quelle strofe.
Una volta tornato Bruce, non era cambiato nulla. Poco dopo abbassarono di un tono le accordature. Sob.
E a risentire pezzi come Ghost Of Navigator, BNW o Blood Brothers, ditemi se è così difficile per voi immaginare la voce di Blaze su quei riff e quegli arpeggi?
No, vero?
Però Bruce era Bruce e anche i suoni di chitarra uscivano meglio, più decisi, corposi. Merito di Bruce, come minimo. Tutto quello che di buono era tornato a starci, lo dovevamo a Dickinson. Non negate di averlo pensato.
Rispetto al sound delle power metal band europee o dei gruppi nu metal americani, le chitarre di Brave… sembravano giocattoli ma alla fine non ci si poteva aspettare miracoli, che cavolo… non subito, almeno.
Di sicuro Nomads e soprattutto Out Of The Silent Planet erano dei picchi impensabili al tempo di Blaze (anche se pare siano state scritte prima della reunion, proprio per farle cantare a Bayley).
Nell’insieme l’album convinceva un po’ tutti. Difficile immaginare una predisposizione tale se Bruce non avesse mollato la band nel 1993 facendo sentire ai fans spocchiosi e scontenti quanto in realtà Fear Of The Dark fosse un paradiso in confronto a quello che venne fuori senza di lui.
Brave New World era il ritorno a casetta, la festa al prodigal son e così via. Difficile fare critica vera davanti alla famiglia che si riunisce. I metallari erano i figli reduci da un divorzio dolorosissimo e sconvolgente, e finalmente rivedevano i genitori tornare sotto lo stesso tetto, dopo anni di cattiverie, beghe, abbandoni e sincero sprezzo.
Il nuovo avvento degli Iron Maiden fu festeggiato con un bel live doppio, Rock In Rio. E da lì le cose si misero praticamente secondo questa scaletta. Disco nuovo-tour-disco live (DVD)-raccoltona.
Tre anni dopo Brave… anche se molti non osarono credere che le cose sarebbero filate più a lungo di quella rimpatriata dal 1999 al 2002, ecco che uscì un altro album di inediti!
Se qualcuno si aspettava un altro “solito” disco dei Maiden sarebbe rimasto però sorpreso. Non sto dicendo che Danche Of Death sia stato un testa coda clamoroso per la band, ma a risentirlo oggi è chiara una cosa. Se Brave New World era un ritorno, Dance… fu la ripartenza effettiva verso un futuro nebuloso e con qualche bel vicolo cieco.
(FINE PRIMA PARTE)