Tutti dicono I Love You… ma non è la band!

Il Fuzz nel 1994 scrisse una recensione sul loro secondo album. Era una di quelle meravigliose descrizioni che non avrebbero mai spinto un metallaro a tirar fuori i soldi per acquistare il tale disco, ma in quel periodo, Metal Shock inseriva un sacco di roba non metal e se ne sbatteva. In effetti, a rileggerla oggi, non si riesce a capire che razza di album avessero realizzato gli I Love You. Già il nome non mi piaceva. Troppo inflazionato. Ma l’avrei pensato pure se si fossero chiamati Burn In Hell. Certo, se avessero suonato metal, non avrebbero avuto davvero alcuna speranza col nome “Io ti amo”, ma pare che all’inizio degli anni 90, quando gli I Love You uscirono con un paio di lavori molto interessanti, pubblicati dalla Geffen e per la maggior parte della critica decisamente riusciti, pare dico che ci fosse nell’aria un casino d’amore; almeno dalle parti di Los Angeles. Il grunge stava per spopolare, certo, tutti ora parlano di come tolse alla dominante scena glam metal il primato; ma sembra che ci fosse pure una recrudescenza psych-rock in partita

Per dire, pensate ai Black Crowes, i Blind Melon o agli Spin Doctors… erano gruppi molto solari e spensierati, con un retrogusto rock vecchia maniera. Non li avrei definiti psych, ma sembra che qualcuno pensò di farlo. Dopo che il rock era stato sezionato e suddiviso come un povero pollo, tra gli anni 70 e 80, nei vari scaffali del supermercato pop, una sfilza di nuove band, nella decade successiva, tornavano alle radici. Gruppi come gli I Love You mischiavano di nuovo ogni cosa e se ne sbattevano delle etichette. Ecco perché diventò sempre più arduo per chi recensiva, far capire ai lettori che roba suonasse questo o quel gruppo. Immaginate il poveretto che dovette raccontare la sua esperienza acustica dopo l’ascolto dei King Of Kings. Ma anche spiegare come suonassero Pearl Jam e Nirvana non fu semplice nel 1991.

Oggi uno scrive, “sembrano i Pearl Jam” e tutti capiscono. Ma come si faceva a dare l’idea dei Pearl Jam prima dei Pearl Jam? La mega-big-band di Seattle, faceva i primi tour proprio con gente come gli I Love You. E c’è chi ringrazia di essere stato presente insieme agli altri venti spettatori, in quella serata di inizio carriera dei Jam, non per aver visto il gruppo ancora lontano dagli stadi e dal successo inquinante, ma per essersi goduto proprio gli I Love You in una delle intense esibizioni della loro breve ma straordinaria parabola creativa.

Erano un quartetto: il cantante era Chris Palmer, il chitarrista Jeff Nolan, il bassista Mike Kossler e il batterista Tom Sweete. Stando alla recensione del Fuzz, il loro primo disco era stato una cosa abbastanza inquadrata, bellina ma tutto sommato “addomesticata” dal sistema per venderli. Il secondo album però cazzo, in quello mischiavano talmente le carte da lasciare un gran confusione felice nel cuore di chi li avrebbe ascoltati.

Ora che sono passati 30 anni da All Of Us posso confermare una cosa e smentirne un’altra. Intanto è vero che gli I Love You erano davvero talentuosi e originali. Ogni band che stesse tentando di farsi strada nell’affollato sentiero del rock e del metal, avrebbe dovuto farsi un esame di coscienza, dopo aver ascoltato cosa stavano combinando questi quattro losangelini. Quello su cui non sono d’accordo col Fuzz è che All Of Us fosse molto più libero e sperimentale rispetto al primo album del gruppo.

Secondo me gli è superiore per la qualità generale delle canzoni e si sente che la briglia produttiva è più lenta, ma sempre di canzoni si tratta, con una struttura abbastanza tradizionale. Non vi aspettate lunghe suite intrippanti con effetti strani e una voce roca che grida di scopare l’umanità intera o inseminare la Madonna dei fiori. Qui siamo in un ambito pop-rock di quattro minuti o poco più a traccia. Ce ne sono di bellissime: WhitehouseDelilah’s Razor su tutte. Ci sono dei ritornelli azzeccati (Blood) ma ce ne erano anche nel primo (Hang Strainght Up e Love Is). Probabilmente la poetica psichedelica è più nei testi, molto out, esoterici e sospinti ai vecchi ideali hippie, rispetto alle nevrastenie punk o dark e le nerborute auto-realizzazioni del metal. Sul versante delle influenze, non mi sembra di percepire così spesso i Cream. Io ci ho sentito anche parecchio i Kinks del periodo Lola/Percy. Oltretutto Chris Palmer non gigioneggia alla Morrison. Si avverte una somiglianza nel timbro, ma è piuttosto vaga, per come la vedo io.

All Of Us e il precedente omonimo, che uscì nel 1991, sono un segmento prezioso da recuperare di un periodo molto stimolante e audace per il rock, il metal e quello che gli veniva accostato da etichette e riviste. Fino al 1994 fu una cuccagna per la musica ribelle, come la chiamava Finardi. Si tentò un guizzo vitalistico, che però divenne entro la fine del decennio, lo stramazzare di un corpo ucciso. Del resto, la nuova stagione psich-rock svanì quasi senza che il mondo se ne accorgesse in un paio di anni, sommersa dai cattivi umori del grunge, divenuti bandiera di una generazione, dalle farsesche ricostruzioni artistiche del post-modernismo e dalle tetre meditazioni politiche intorno alla guerra per il petrolio. Fu la guerra a uccidere la spensieratezza nel rock e nel metal, ne sanno qualcosa Dave Lee Roth e i Motley Crue.